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Pino Daniele – Tracce di libertà

(di Gabriele Longo) – È uscito lo scorso 4 dicembre Tracce di libertà, un prodotto editoriale pieno di suggestioni per le migliaia di fan di Pino Daniele. Pubblicato dalla Universal Music Italia in collaborazione con Blue Drag Publishing, comprende i primi tre album del cantautore napoletano – Terra mia (1977), Pino Daniele (1979), Nero a metà (1980) – con le versioni alternative, le prime stesure dei brani, i provini e anche dei brani inediti mai ascoltati, un vero e proprio documento che ne racconta il percorso artistico e umano.

Tracce-di-libertà-coverTracce di libertà è stato realizzato in varie edizioni. C’è la Super Deluxe, contenente sei CD e un booklet di sessanta pagine con foto inedite, aneddoti, curiosità e testi biografici. All’interno dei CD si possono trovare anche sei brani inediti degli anni ’70: “Napule se scet’ sotto ’o sole”, “Mannaggia ’a morte”, “Stappi-stopotà”, “Figliemo è nu buono guaglione”, “Na voglia ’e jastemmà” e un brano strumentale senza titolo. A seguire, per un pubblico meno esigente, la versione Deluxe con tre CD e il booklet di sessanta pagine della Super Deluxe. In questa edizione sono state inserite meno versioni alternative e provini, e uno solo dei brani inediti: “Na voglia ’e jastemmà”. Infine è stata pubblicata l’edizione solo digitale, con i contenuti audio di quella Deluxe e un booklet digitale con sei foto inedite. Questa la comunicazione giornalistica, doverosa ma non esaustiva.
È infatti sfogliando il booklet che cominciamo a percepire, quasi a respirare il percorso unico che ha portato quel ragazzone di Santa Maria la Nova a intuire la propria arte, fino al traguardo del palcoscenico internazionale dove tutti lo vediamo da molto tempo collocato. Ciò che rende vive ed entusiasmanti le sessanta pagine del libro sono le tante testimonianze di musicisti e persone vicine a lui, comprese le foto inedite che lo ritraggono giovanissimo, spesso con imbracciata una dodici corde acustica.
Una prima toccante testimonianza è quella del batterista e percussionista Rosario Jermano, a proposito del primo provino del 1975 realizzato con due registratori a cassette, un Geloso e un Philips: «Chisti piezze l’amma registrà e l’amma fa sentì a coccoruno» gli dice Rosario. E cominciano proprio con “Terra mia”. Per dare forma al pezzo registrano una traccia sul primo registratore e, collegandolo al secondo, risuonano in diretta ‘sopra’ il sonoro ottenuto con la prima registrazione, realizzando così un sistema rudimentale di sovraincisioni. Una sorta di sound on sound che anni dopo si riuscì a realizzare col Revox… era davvero preistoria. «C’era un gran rumore di fondo, un fruscio incredibile» ricorda Rosario «ma la magia di quelle parole già si sentiva in ogni nota, e qualcuno se ne accorse e ci incoraggiò a continuare. In seguito usammo un TEAC 4 tracce, una vera passeggiata al confronto con quelle scatolette. Ma per fortuna quella musica è rimasta»…
Continuando con il work in progress dell’album Terra Mia troviamo “Mannaggia ’a morte”, incisa per uno spettacolo al Teatro Instabile, la fucina dell’avanguardia partenopea, e “Napule se sceta sotto ’o sole”, registrata in un deposito a Corso Malta… insomma una vera mappa della città, in attesa della sospirata incisione del primo disco! Sembrano trascorsi anni luce, adesso è tutto facile e immediato – ricordano le riflessioni sul booklet –, si possono realizzare registrazioni casalinghe e immetterle subito sul Web, ma nell’epoca dell’analogico la parola ‘disco’ evocava una sorta di magia, un ponte che ti permetteva di traghettare nella mitica tribù dei musicisti professionisti.

Pino Daniele - foto di Guido Harari
Pino Daniele – foto di Guido Harari

Tra le pagine fitte di ricordi e testimonianze è riportata la fotocopia di un telegramma recapitato a Daniele Giuseppe il 28 aprile 1976: è la convocazione da parte dell’Alitalia per il richiedente Pino a partecipare al concorso come assistente di volo, esattamente lo stesso giorno in cui è convocato dalla EMI Music per la firma del primo vero contratto discografico. Davanti alla comprensibile indecisione di quel talento nascente, Dorina Giangrande, la prima moglie di Pino, lo convince ad avere fiducia in sé stesso: «Se la musica è tutta la tua vita» gli dice «scegli la musica e fallo fino in fondo, credendoci, amandola e rispettandola».

Pino Daniele - foto di Lino Vairetti
Pino Daniele – foto di Lino Vairetti

È questo il contesto emotivo in cui si colloca il disco d’esordio di Pino Daniele del 1977, Terra mia, che a sua volta trova spazio nella nuova musica italiana grazie a quel melting pot che da sempre è Napoli. C’è la Nuova Compagnia di Canto Popolare con Roberto De Simone, che reinventa il folk; ci sono gli Osanna che hanno partorito un rock visionario con l’opera rock Palepoli; c’è Alan Sorrenti e c’è la sorella Jenny con i Saint Just, che si orientano verso atmosfere oniriche, rarefatte alla Tim Buckley; c’è Edoardo Bennato che scala le classifiche col suo rock mediterraneo. E infine c’è il debutto di Napoli Centrale, band fondata da James Senese e Franco Del Prete già con gli Showmen: un gruppo rivoluzionario che traghetta il napoletano della tradizione in un rock jazz pulsante e innovativo, nel quale milita il Nostro al basso per un breve periodo, appunto quello che precede la realizzazione di Terra mia.
Il booklet continua in un susseguirsi di immagini, pensieri dal diario del cantautore napoletano, che amava firmarsi Pin8, e foto di documenti burocratici dei suoi primi lavori da gregario nel mondo della musica, annotazioni tecniche scritte a mano sulle scatole dei nastri di provini.
Le tracce continuano… È appena trascorso un anno, siamo nel 1978, e Pino mostra una produzione musicale feconda e molto più matura: nei provini che precedono il secondo CD ufficiale, Pino Daniele, troviamo molti brani diventati dei veri classici come “Je sto vicino a te” o “Putesse essere allero”, dove mette dentro tutta la sua malinconia e gli sfoghi di un giovane uomo vicino alla propria donna. E ancora, c’è “Chi tene ’o mare”, uno dei ritratti più autentici del popolo napoletano. Tra gli inediti spicca un piccolo capolavoro realizzato nel salotto di Rosario, “Stappi-stopotà”, con il suono limpido di chitarra e percussioni, con l’amore per il rock che Pino reinventa e fa diventare una cosa propria. E lo xilofono utilizzato per l’incisione su nastro di “Donna Cuncetta”? Fu acquistato in un autogrill… sì, di quelli giocattolo con i tasti in metallo colorati.
Tra tutti i brani c’è quello che sfonda il muro del suono, quello che ha un sapore liberatorio e provocatorio, con quell’intro di chitarra dodici corde che disegna un lick tipicamente blues, ma allo stesso tempo dal mood partenopeo: “Je so’ pazzo”, che infatti diventa subito un hit radiofonico.

Con il disco Nero a metà il racconto di questa importante opera editoriale arriva al suo epilogo, alto, altissimo, un trampolino per la musica italiana e internazionale a partire da quel momento storico, il 1980, fino a giù, giù per i decenni futuri. Sì perché Pino Daniele, con Nero a Metà, trova la sua formula magica grazie alla quale lascerà una «traccia pesante», come annota il giornalista Giorgio Verdelli parafrasando il titolo del libro di cui stiamo parlando.
Il work in progress che precede il disco ufficiale si apre con un inedito, “Na voglia ’e jastemmà”, in cui il respiro artistico e la caratura delle composizioni all’alba del nuovo decennio è già lì presente, fatto di ritmi contaminati, di chitarra elettrica che fraseggia tra tradizione afroamericana e sapori latini, tra lick rock jazz e tracce partenopee. Sentimenti antichi come alleria (“Alleria”), appocundria (“Appocundria”), cazzimma (“A me me piace ’o blues”) si mescolano alla gioia di “E so’ cuntento ’e stà” e all’ironia di “Nun me scoccià” o “Puozze passà nu guaio”.
Su “Quanno chiove” c’è un aneddoto toccante. La melodia di questo famosissimo brano nacque originariamente come un fatto molto privato: era una sorta di ‘sigla’ d’amore per la sua fidanzata Dorina, poi divenuta sua moglie. Quelle poche battute sottolineate da un breve arpeggio di chitarra, Pino le suonava tutte le volte che si sentivano al telefono. Iniziano e si avviano a conclusione le registrazioni di Nero a metà presso gli Stone Castle Studios di Carimate, e manca un pezzo per completare l’album: Pino decide di costruire al volo una struttura armonica attorno a quella cellula melodica ‘privata’. Dorina si arrabbia molto quando Pino le racconta di aver usato la loro melodia, ma ascoltando il brano capisce che è un vero capolavoro e che merita di essere condiviso col grande pubblico.
Il suono di Nero a metà, vale appena ricordarlo, è ricchissimo di soluzioni armoniche e ritmiche eleganti, curate e meravigliosamente funzionali alle linee melodiche di grande originalità e intensità, poetiche già nella loro sonorità. La band che realizza questo capolavoro è di livello internazionale: non a caso quell’anno – il 1980 – Pino apre il concerto di Bob Marley allo stadio San Siro di Milano.

Pino Daniele - foto di Lino Vairetti
Pino Daniele – foto di Lino Vairetti

Le «tracce di libertà» lasciate da Pino Daniele sono quanto ha lasciato tra le pieghe delle sue splendide canzoni, vere e proprie poesie in musica, e ciò che è stato raccolto dal popolo napoletano in primis, ma sicuramente da tutte le persone sensibili, che mettono in relazione il loro vissuto con la voglia di capire e cambiare se stessi. Cambiamento è libertà. E in questo senso Pino cambiò direzione a una vita amara, addolcendola con la musica che amava suonare e che era soltanto sua: «A me me piace ’o blues e tutt’e juorne aggia sunà».

Gabriele Longo

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