11. Rivelazioni
Al tavolo del pub irlandese, a pochi passi dal teatro, io e mio padre eravamo seduti uno di fronte all’altro, tenuti in tensione da differenti spinte e ansie. Dopo la scenata al Municipale avevo preteso delle spiegazioni alle sue deliranti parole, ma sopra ogni cosa era di Camilla che volevo sapere e di come era possibile che lui la conoscesse. Così, appena finito il soundcheck – portato a conclusione con grande fatica – l’avevo cercato in platea e trascinato di peso nel locale più vicino, insistendo con Mike e Jeff perché venissero con noi. Non gli era piaciuta un granché la cosa, ma aveva dovuto accettare.
«Sono la mia famiglia», gli avevo detto, consapevole della portata di quelle parole, «e non abbiamo segreti».
A parte noi, nel pub non c’era nessuno, essendo ancora molto presto, ma di fronte a me c’erano già cinque lattine vuote che mio padre guardava incredulo e carico di giudizi, non essendo al corrente della mia insolita fama. Quando la cameriera ha portato la sesta, lui ha ripetuto per l’ennesima volta che si trovava già in Emilia da una settimana, a Cavriago, per la collaborazione con uno studio di commercialisti del paese che durava ormai da un anno, e che quella mattina mia madre l’aveva chiamato in albergo, allarmata dalla telefonata di una ragazza.
«Ha detto di chiamarsi Camilla», ha specificato guardandomi.
Nonostante la situazione piuttosto delicata, a sentirla nominare il suo ricordo mi si è piazzato prepotente e dolce all’altezza degli occhi e non mi ha risparmiato le emozioni di malinconia e desiderio che, dalla notte prima, non facevano che alternarsi dentro di me con insistenza. Così un’urgente e travolgente smania di averla tra le braccia – pelle contro pelle, cuore contro cuore – mi ha appannato lo sguardo e confuso i pensieri, che a stento riuscivo a mantenere lucidi già da quella mattina. Del come Camilla fosse riuscita a procurarsi il numero dei miei giù a Messina non è stato difficile da ipotizzare, vista la mia popolarità, ma è stato il perché ad intricare le corde delle mie congetture. Già provato dal dare alla sua assenza dopo l’amore l’abitudinaria dimensione dei miei incontri occasionali, in cui – mi stavo convincendo – anche lei avrebbe trovato posto, sapere del suo gesto è stato altrettanto scioccante, perché dimostrava che neanche lei aveva smesso di pensarmi.
Nello stesso momento, la preoccupazione di mia madre mi è suonata davvero strana, considerato il nostro lungo silenzio, ma a sentire mio padre Camilla aveva cominciato a spaventarla con discorsi riguardo la mia incolumità e cose del genere, cosa ancora più incredibile.
«Le ha chiesto se sapeva di qualcuno che poteva avercela con te», ha raccontato lui, «perché ha buoni motivi per crederlo».
A quella rivelazione ho guardato Mike e Jeff, anche loro palesemente sbalorditi da quelle parole.
«Evidentemente non sa che sei scappato di casa quattro anni fa», ha precisato appuntito mio padre, lanciando un’occhiataccia a Mike. E poi me lo ha richiesto: «Ettore, chi è questa Camilla e cosa vuole da te?».
In effetti cominciavo a chiedermelo anche io, a quel punto. La nostra notte stava cambiando luce e prospettiva lentamente. Chi era veramente quella ragazza bellissima? Quale era il suo scopo? Era stato casuale il nostro incontro? Nei miei occhi, così come in quelli di Mike e Jeff, ha cominciato a farsi strada il sospetto che ci fosse qualcosa sotto, senza che questo riuscisse a smagrire il desiderio di lei.
Ho raccontato a mio padre del nostro incontro fuori dell’albergo, la sera prima, evitando i dettagli del dopo chiaramente, e gli ho spiegato quanto realmente pensavo e cioè che non avevo la minima idea di cosa stesse succedendo o di cosa lei volesse dire. Di certo era abbastanza evidente che stava cercando di proteggermi da qualcosa, ma proprio mi sfuggiva da cosa.
«Potrai pure pensare che sono un padre cocciuto e all’antica», ha detto lui puntandomi con l’indice, «ma appena ho saputo dove eri dai giornali sono venuto subito da te», come se questo avesse potuto cambiare le cose.
Il perché l’avesse smosso il pericolo che mi accadesse qualcosa e non la gratificazione e la gioia con cui seguivo da anni la mia strada e il mio talento, è sempre stato un cruccio per me. Ad ogni modo, anche a distanza di anni, ammetto che sono stato contento di rivederlo quel giorno, nonostante tutto.
Dopo non molto tempo, trascorso a raccontare le stesse scene ma con parole diverse, le lattine vuote sul tavolo sono diventate dodici e dentro di me, insieme a quel tizzone di emozioni e ipotesi, stava cominciando a prendere fuoco l’attesa dell’esibizione, accesa dalla birra e dal desiderio di defilarsi solo per un momento dall’intera vicenda. Mi bruciava la testa.
Purtroppo l’incendio è divampato anche fuori, e si è esteso in modo incontrollato per tutto il pub, non appena Mike è intervenuto nel discorso. Mio padre non aspettava altro per scatenare la sua rabbia contro di lui, colpevole – a suo dire – di avermi portato su quel sentiero dalle incerte percorrenze e di avermi allontanato definitivamente dalle sue aspettative.
«Non riesco proprio a capire come sia possibile tutto questo», aveva detto guardando me e Jeff.
Sebbene quelle parole fossero riferite a quella strana carambole di eventi, ho facilmente intuito che parte dei suoi intenti erano puntati alle sue ferite e al dolore che gli procuravano. Il tarlo nella sua testa non aveva smesso di lavorare, nonostante la decisione di lasciare Isabel, e gli spegneva mente e sguardo in modo evidente. A me e a Jeff, quanto meno.
Mio padre, udite le sue parole, lo ha trafitto con gli occhi e ha sputato il rancore a lungo trattenuto con un ringhio.
«È tutta colpa tua», ha sentenziato con l’indice teso e minaccioso, «se non avessi riempito la testa di Ettore di tutti quei folli sogni a quest’ora se ne starebbe a Messina al sicuro e non sarebbe certo in pericolo, come adesso».
Il suo tono deciso è rimbalzato per tutto il pub vuoto colpendoci più volte con la suo eco. Ho subito cercato Mike, sorpreso e turbato da quella sparata, e l’ho visto contenere l’improvvisa collera dietro un’espressione forzatamente di circostanza, una sorta di diga eretta alla svelta che sembrava sul punto di cedere da un momento all’altro. Ho provato ad intervenire per circoscrivere la cosa e ho detto: «Papà, qui nessuno è in pericolo», confortato dall’occhiata complice di Jeff, «calmati e non essere precipitoso». Ma il tentativo si è subito spento sotto il vento gelido soffiato da mio padre, che non ne voleva proprio sapere di calmarsi.
«No», ha ribadito con più forza, «è colpa sua».
È stato tutto così veloce che non mi è riuscito di fare e dire niente. Né a me né a Jeff. La furia di Mike, un pericolosissimo e instabile composto di emozioni diverse a vicende diverse, ha sbriciolato la diga – ultimo baluardo – e ha lanciato il suo corpo sopra il tavolo, verso il bavero di mio padre, rovesciando tutte le lattine vuote. Il gestore del locale, già in allerta per i precedenti eccessi della discussione, è subito intervenuto con voce autoritaria, destando me e Jeff dall’inaspettatezza e dall’inermità e così, in tre, siamo riusciti a calmarlo e fargli mollare la presa.
Mio padre era fuori di sé. Si è alzato in fretta, stordito, impaurito e ancora sgualcito.
«Siete tutti pazzi», ha detto con un filo di voce, ricomponendosi senza guardare nessuno – neppure me – e si è precipitato fuori in strada, tra le braccia del freddo gelido.
Mi sono divincolato dalle gambe del tavolo e dei miei vicini, mentre il gestore ci invitava infuriato ad andarcene, e l’ho inseguito fino a raggiungerlo sul marciapiede ghiacciato.
«Papà», gli ho gridato, «aspetta».
Non dimenticherò mai gli occhi con cui mi ha guardato e le parole che mi ha detto, le ultime che gli ho sentito dire.
«Il mio mondo è fatto di numeri, Ettore», ha farfugliato ancora sconvolto. Ha tirato fuori dalla tasca del cappotto la rivista piegata in due che per tutto il tempo aveva conservato lì, e di cui solo in quel momento mi ero accorto, e l’ha buttata per terra, ai miei piedi. Quel gesto non l’ho mai capito veramente.
«Il tuo è fatto di sogni pericolosi», ha aggiunto. E se ne è andato.
11. Revelations
My father and I sat opposite each other, on either side of a table at the Irish pub just around the corner from the theatre, each as tense as the other with own reasons and worries. After the scene at the Civic Centre Theatre, I had demanded an explanation for his ranting but what I really wanted to know about was Camilla and how on earth he had come to meet her. And so as soon as the soundcheck that had dragged on and on was finally over with, I searched him out in the stalls and dragged him with me to the nearest pub, insisting that Mike and Jeff came with us. They weren’t thrilled at the idea but in the end they had no choice but to accept.
“They are my family,” I had said, aware of the weight of my words, “and we keep nothing from each other.”
It was early and we were the only ones in the pub, but five empty bottles already stood on the table in front of me. My father looked on incredulous and disapproving. This particular aspect of my fame had obviously not yet reached his ears. When the waitress brought the sixth one, he was repeating for the nth time that he had already been in Emilia for a week. He had come to Cavriago on business with a legal firm he had been working with for just over a year. That morning my mother had called him at his hotel, worried by a phone call she had received from a girl.
“She said she was called Camilla,” he clarified, looking straight at me.
Despite the awkward situation I was in, on hearing her name, my memory of her jumped up before my eyes as strong and sweet as ever. The melancholy and desire that had continued incessantly to alternate inside me since our night together came to the forefront once again. I had had difficulty in clarifying my thoughts all that morning but now the urgent and uncontrollable obsession to hold her in my arms – her skin against mine, her heart against my heart – misted my gaze and blurred my confused mind even more.
I hadn’t had much difficulty in hypothesising how Camilla had managed to get hold of my parent’s telephone number in Messina, given my fame, but it was the reason why that tangled up the threads of my conjectures. I had exhausted my energies trying to deal with her absence after we had made love by re-dimensioning our encounter to the same insignificance of my many one night stands, trying hard to convince myself that that was indeed where our encounter belonged, and here she was acting in this shocking way which demonstrated that she too hadn’t stopped thinking about me.
But at the same time, my mother’s anxiety seemed really strange, considering the length of time that had passed since we had last spoken. But if my father’s words were to be believed, Camilla had frightened her by talking about such things as my safety. It was all completely incredible.
“She asked her if she knew of anyone that could have it in for you,” he continued, “because she had good reason to think that there was someone after you.”
On hearing this, I turned to Mike and Jeff who were clearly as stunned as I was at my father’s words.
“She evidently had no idea that you’d run away from home four years ago,” my father remarked as he drove the knife home glancing over at Mike. He turned his attention back to me and asked, “Ettore, who is this Camilla girl, and what does she want from you?”
This was exactly the same question I was beginning to ask myself. Our night together was slowly beginning to change its form and colour. Who was this stunningly beautiful girl really? What was she after? Was our encounter really chance? Although my desire for her continued to burn strong, the inkling of a suspicion that there had been something else behind our meeting began to make its way into my mind and likewise into Mike’s and Jeff’s.
I began to tell my father about our meeting outside the hotel the previous evening, leaving out all the unnecessary details. I explained truthfully that I didn’t have the foggiest idea of what was going on, nor of what she was talking about. It was certainly clear that she was trying to protect me from something, but from what I really didn’t know.
“You can think that I’m set in my ways and not a modern dad,” he said pointing his finger at me, “but as soon as I had worked out where you were from the papers, I came looking for you.” As if this could somehow help the situation.
That it had been the danger that something could happen to me and not gratification or joy at my success in pursuing my talent and my life’s path all those years that had led my father to come looking for me has continued to torment me to this day. Even so, I can admit now that looking back on that day after all this time has passed, I was in fact happy to see him again in spite of everything.
For a while, we continued sitting at the table, telling and re-telling the same story of events, each time in a different way. The number of empty bottles on the table grew to twelve and with them grew the storm of emotions and hypotheses that were burning inside me. I felt the fire of exhibitionism begin to spark, lit by the beer and my desire to be rid of the whole affair at least for a moment. My head was burning.
Unfortunately, the fire flared up out of control and spread throughout the whole pub just as soon as Mike opened his mouth. My father couldn’t wait for the opportunity to let rip his anger against this man who was guilty – in his eyes – of having led me up the precarious path of uncertainties and taken me away forever from his expectations for me.
“I just can’t understand how any of this is possible,” Mike had said looking at Jeff and me.
Although his words were theoretically directed at this strange chain of events, I guessed at once that his underlying meaning was directed towards his own emotional situation and the pain it was causing him. The woodworm in his head hadn’t stopped eating away at him, despite his decision to leave Isabel, and they dimmed his mind and his eyes in no uncertain way. At least, so much was clear to both Jeff and me.
But on hearing his words, my father looked daggers at him and spat out his bitterness he had long held at bay. “It’s all your fault,” he passed judgement, waving his index finger threateningly, “if you hadn’t filled Ettore’s head with all those crazy dreams, he would be in Messina now, safe and sound, and certainly not in the mess he’s in now.”
His decisive tone rebounded across the empty pub, its echo coming back to strike us again and again. I immediately sought out Mike’s gaze. He was as surprised and upset by the outburst as I could have imagined. I saw him keep check of his sudden anger behind a feigned countenance of everyday, a kind of damn that had been built with no notice and that looked on the verge of collapsing at any moment. I tried intervening to calm things down and said, “Dad, no-one here is in any danger.” I was reassured by Jeff’s nod of agreement and approval. “Calm down and don’t jump to conclusions.” But my effort was immediately blown out by my father’s icy wind. He didn’t have the least intention of calming things down.
“No,” he said emphatically. “It’s his fault.”
It all happened so quickly that neither Jeff nor I were able to do or say anything. Mike had been a dangerous and unstable melting pot of varied emotions and events and now his fury burst the damn’s banks, his last bulwark, and he threw his whole self across the table grabbing at my father’s collar and sending the empty cans flying. The pub’s manager, who was already on the lookout having heard our raised voices, immediately intervened in authoritative tones, waking Jeff and me up from our stunned defencelessness. Together the three of us managed to calm him down and get him to loosen his grip.
My father went out of his mind. He jumped to his feet, stunned, frightened and still ruffled.
“You are all crazy,” he said, his voce a barely audible tremor. He straightened his clothes without looking at anyone – not even me – and then walked straight out onto the street and into the embrace of the icy cold.
I untangled myself from the table legs and those of my friends, while the manager asked us to leave in no uncertain terms.
I ran out of the pub along the icy pavement. “Dad,” I called, “Wait!”
I will never forget the look in his eyes nor the words he spoke, the last ones I ever heard from him. “My world is made up of numbers, Ettore,” he mumbled, still in a state of shock. He pulled a crumpled magazine he had been keeping all this time from his coat pocket but I hadn’t noticed it until just then. He threw it on the ground at my feet in a gesture that I have never really understood.
“It’s all just dangerous dreams,” he said, and with that he turned and walked away.