2. La lettera
Non avrei mai creduto di poter parlare di questa storia, né tanto meno di poterla scrivere. In tutto questo tempo non ho fatto altro che provare a dimenticarla, senza che i miei tentativi riuscissero a sbiadirne il ricordo. È accaduta a ridosso della nevicata del secolo, poco prima del Natale del 1984.
Tutti i dettagli di quegli ultimi cinque giorni di tournée sono perfettamente nitidi nella mia mente, come se questi venticinque anni non fossero mai stati in grado di seppellire veramente la vicenda, né i suoi protagonisti né tanto meno le loro colpe. Tuttavia, ho sempre finto di essere più forte del rimorso, permettendo alla storia di parassitare dentro di me, e l’ho fatto per così tanto tempo che una sorta di malsano equilibrio – creatosi lentamente – ha reso il silenzio conveniente, salvifico per certi aspetti, perché tacere faceva diventare tutto un ricordo lontano e impalpabile, nulla a che vedere con la realtà. Adesso, però, il gesto di Mike, oltre a provocarmi un dolore alla cui violenza sembra proprio che non fossi preparato, sebbene mi sia dimostrato sempre indifferente a questa eventualità, ha provocato la mia rabbia e la mia debolezza, rendendomi improvvisamente intollerante con me stesso. Così, il segreto che ho custodito per anni è diventato talmente ingombrante e avvelenato che rischia di uccidermi se non lo vomito a forza. Ecco che le mie parole trovano velocemente e senza freno il loro posto su questi fogli, come se la mia coscienza mi stesse dettando una confessione da scrivere, senza che io possa fare domande o mediare in alcun modo il suo scopo, lasciandomi inevitabilmente faccia a faccia con il mio destino. D’altronde nessuno sfugge alla propria sorte.
Mi chiamo Ettore Silenzio, ho quarantasette anni e faccio il lavapiatti in un ristorante di una città qualsiasi – non ha un granché importanza quale. In una lontana vita, che oggi quasi stento a riconoscere come mia, sono stato un musicista professionista. Solo adesso che ne scrivo le dinamiche mi rendo conto di quanto sia stata bizzarra la mia evoluzione: l’aver vissuto di suoni e poi di omertà, con un cognome come il mio, non può che far sorridere di amara ironia. Ad ogni modo, sono stato un chitarrista fingerpicking di grande successo. È imbarazzante scriverlo, e molto più rileggerlo, ma in effetti è così. Cos’è un chitarrista fingerpicking? Beh, tecnicamente è il direttore ed esecutore di un’orchestra i cui i musicisti sono le sue dita e nient’altro, capaci di riprodurre più voci contemporaneamente e dando un senso di polifonia quasi improbabile per un unico strumento. Più realisticamente è un uomo solo con cui nessuno vuole suonare e che si è arrangiato altrimenti. Cos’è il grande successo? Semplice. Il privilegio di non chiedere mai il permesso, almeno finché ti è concesso, chiaro. E con questa sorta di coperta biodegradabile addosso ho fatto tournée un po’ ovunque, in Italia e all’estero, e a pensarci adesso mi sembra tutto così irreale!
12 birre, mi chiamavano. Perché solo dopo che mi ero scolato dodici lattine riuscivo a salire sul palco. È così. Mi ero convinto che potessero difendermi dagli occhi e dalle aspettative della gente, che il vagabondare nello spazio invisibile prima di una sbronza mi rendesse più forte e meno solo, che mi scaldasse lo spirito. E in effetti funzionava. Quel limbo mi proteggeva e mi spingeva ad eccellere, regalandomi un’apparente eternità.
Nei quattro anni di professionismo, a parte qualche piccola tournée solitaria, ho sempre diviso il palco con due chitarristi, i cui i nomi erano leggenda già alla fine degli anni settanta: l’americano Mike Mud e l’inglese Jeff Stone. Due artisti davvero unici che esprimevano un linguaggio chitarristico del tutto nuovo per l’epoca, senza dubbio.
Quando solo un anno prima del mio debutto su un palco ascoltavo i loro trentatrè giri e sgobbavo sui loro spartiti (quei pochi che si riusciva a trovare), sognando un giorno di suonarci insieme, non avrei mai creduto che avrei girato il mondo con loro, palco dopo palco, viaggio dopo viaggio. Eppure, a soli 18 anni, ho fatto il mio primo concerto con quei mostri sacri della chitarra acustica, in un teatro gremito e ingordo di musica. Ricordo perfettamente gli applausi scroscianti di fine serata, la gente di Udine che salutava il nuovo e giovanissimo astro nascente del fingerpicking nostrano – così aveva commentato il “Corriere della sera” il giorno dopo – con un’ovazione tale che avrei potuto vivere di rendita emotiva per una vita intera di concerti senza applausi. È incredibile come, a distanza di tempo, mi tremino ancora le gambe al ricordo e mi sembra altrettanto incredibile che tutto sia potuto finire in una sola notte. E in un modo così violento, poi. Che indicibile spreco!
È davvero disarmante la cinica potenzialità di cui siamo dotati: distruggere in poche ore quello che si è costruito per anni interi. E quando accade, torpore e fretta lottano senza sosta tra mente e cuore per un tempo imprecisato, e finisce che ne trascorre così tanto che si perde il senso dello scontro e a rimanere sei solo tu e un grande dolore. E un fardello appeso al collo, nel mio caso.
È questa la profonda amarezza di custodire un segreto: che non puoi contare proprio su nessuno, che sei solo. Questo non avrebbe dovuto fare molta differenza per un fingerpicker – solista per vocazione – e invece i tormenti della solitudine sono riusciti a raggiungermi, inevitabilmente. È stato molto di più di quanto potessi sopportare, solo adesso me ne rendo conto.
Ma cos’altro avrei potuto fare? Con chi avrei potuto condividere una cosa del genere? Chi avrebbe potuto capire? Io stesso ho faticato a mettere insieme tutti i pezzi e proprio non riuscivo a immaginare nessun altro lungo i miei percorsi emotivi e mentali senza giudizio e condanna al seguito. Così non volevo altro che scappare.
Certo per un personaggio pubblico è difficile scomparire nel nulla e non lasciare tracce, ma non impossibile. Proprio un giorno prima di quella famigerata notte di Arezzo, avevo letto del genio della fisica Ettore Majorana – siciliano come me – e della sua misteriosa scomparsa a soli trentadue anni, enigma internazionale tutt’oggi ancora irrisolto. Suicidio? Fuga? Nessuno lo sa. Naturalmente il fingerpicking e la fisica sono mondi assai diversi, ma probabilmente i piani di un’evasione dalla notorietà, elitaria o meno, hanno tutti le stesse dinamiche. Ed ecco allora che sono sparito, proprio come lui, e non mi sono mai più voltato, dando un senso oltremodo opportuno alla coincidenza dei nostri nomi. Chissà se anche lui era logorato da un misterioso fardello, certamente la sua volontà di negarsi al voyeurismo del mondo è stata più forte della mia, la cui fiamma è stata spenta da un’improvvisa raffica di parole, uno sbuffo violento della vita che è riuscito a stanarmi con la semplicità di una notizia. Non avrei mai creduto di provare questo dolore fortissimo al petto leggendola, e invece è accaduto. E quando è successo ho capito che era tempo di raccontare tutto.
Stamattina, la notizia era sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. Il noto musicista americano Mike Mud è morto. Si è suicidato.
2. The Letter
I never thought that I would be able to speak about this story, nor even write about it. In all the time that has passed, I have done everything in my power to forget it although none of my attempts has succeeded in fading the memory. It happened just before the century’s biggest snowfall, just before Christmas 1984.
All the details of those last five days of our tour are perfectly clear in my mind, just as if these twenty-five years had never passed – insufficient as they are to bury what happened, or the people involved and the part they played. Nevertheless, I’ve always pretended to be stronger than my regret, allowing the story to eat away at my insides like a parasite, and I’ve done so for so long that over time, I gradually created a kind of unhealthy equilibrium that made silence convenient, in all but a few aspects. My sealed lips made the memory distant and impalpable, nothing whatsoever to do with reality. Now, however, besides causing me pain of a kind whose violence I was completely unprepared for, even if I had shown myself indifferent to the possibility of such a thing happening, Mike’s gesture has made me angry and weak. I can suddenly no longer tolerate myself. And so the secret that I have kept for years has become so cumbersome and poisonous that I risk killing myself if I don’t make myself vomit it up. That’s why my words find their place on these sheets of paper so quickly and unstoppably. It’s as if my conscience is dictating a confession for me to write without letting me question it or mediate its purpose in any way, leaving me inevitably face to face with my own destiny. But then, no-one can escape their own end.
My name is Ettore Silenzio. I am forty-seven years old and I work washing dishes in a restaurant in a city – which city in particular is of no importance. In a distant life, which today I can hardly recognise as my own, I was a professional musician. Only now that I write about what happened, do I realise the bizarreness of my story. To have lived with sounds and then with a conspiracy of silence, with a surname like mine must make one smile with its bitter irony, mustn’t it? In any case, I was a most successful finger-picking guitarist. It’s embarrassing to write, and more so to have to read it back to myself, but that’s how it was. What is a finger-picking guitarist? Well, technically, it’s the conductor as well as the performers in an orchestra whose musicians are his own fingers and nothing else, able to make many voices sing simultaneously and create a most improbable sense of polyphony with only one instrument. A more realistic definition is a man on his own, who no-one wants to play with, and who has managed to get by with other means. What is a big success? Simple. It’s the privilege of not having to ask permission, at least for as long you can get away with it, obviously. And with this sort of biodegradable blanket on my back, I gave tours all over the place, in Italy and abroad. Thinking about it now, it all seems completely unreal!
12 beers, I was called. Because I only managed to go up on stage after having downed twelve cans of the stuff. It was like that. I was sure I could defend myself from the public’s beady eyes and expectations in this way, that wondering in the invisible space before total drunkenness made me stronger and less alone, that it warmed my soul. And in actual fact it worked. That limbo protected me and urged me to excel, offering me what seemed like eternity.
During the four years I worked as a professional, except for the odd solitary tour, I always shared the stage with two other guitarists, whose names were legendary at the end of the seventies: the American Mike Mud and the Englishman Jeff Stone. They were two truly unique artists who had a completely novel guitar language for their time. There’s no doubt about it.
When I used to listen to their 33.3rpm LPs, swotting away over the few sheets of music of theirs I could find, just one year before I made my first stage debut, dreaming of playing together with them one day, I would never have believed that I would actually have toured the world with them, stage after stage, journey after journey. And yet, at only 18 years of age, I made my first concert with those sacred giants of acoustic guitar, in a packed theatre with a crowd greedy for music. I remember the roaring crowds at the end of the evening perfectly. The following day the “Corriere della Sera” recorded how the people of Udine greeted the young, new-born finger-picking star with standing ovation. They were so enthusiastic that I could have lived off the emotional reward for a whole life of applause-less concerts. It’s amazing how after so long my legs still shake at the memory and it’s even more difficult to believe that everything could end in one single night. And in such a violent way. What an indescribable waste.
The potential for cynicism we all have is truly unnerving. How can we destroy in a few hours something which we have spent whole years building up? And when it happens, stupor and haste fight mercilessly between our minds and our hearts for an undefined length of time, and in the end we have been through so much that the sense is lost in the conflict and all that remains is just you and your great suffering. And in my case, a chain around my neck. This is the deep bitterness of guarding a secret. You can count on no-body. You are completely alone. This shouldn’t have made much difference to a finger-picker – a soloist by vocation – and yet the torments of solitude have managed to reach me. Inevitably. It’s been much more than I could bear. But I’m only beginning to realise that now.
But what else could I have done? Who could I have shared such a thing with? Who would have been able to understand? I myself had difficulty putting all the pieces together and I simply couldn’t imagine the presence of anybody else on my emotional and mental journey without their judgement or their subsequent condemnation. I wanted nothing other than to run away.
It’s certainly difficult for a public figure to disappear into nothingness without leaving a trace. But it’s not impossible. Exactly one day before that notorious night in Arezzo, I had read about the physics genius Ettore Majorana, who was Sicilian like me, and of his mysterious disappearance when he was thirty-two years old. It was an international enigma that had not been resolved to that day. Suicide? Escape? No-one knows. Of course, finger-picking and physics are two quite different worlds, but plans for evasion from the public eye, high-brow or not, probably have much the same dynamics. And that’s how I disappeared, just like he did, giving an extremely opportune meaning to the co-incidence of our names. And I never once looked back. Who knows if he too was weighed down by a mysterious burden? Certainly, his determination to avoid the world’s voyeurism was stronger than mine, whose flame has now been extinguished by an unexpected flurry of words, one of life’s violent gusts that has managed to blow me down with a simple piece of news. I would never have believed that I would feel such a sharp pain in my chest when I read it, and yet it’s happened. And when it happened, I realised that the time had come to tell everything.
This morning, the news was on the front pages of the national papers. The famous American musician Mike Mud was dead. He had killed himself.