di Lauro Luppi e Mark Varano – Quest’anno all’AGM di Sarzana abbiamo incontrato un altro cantautore-chitarrista di quelli che piacciono a noi: ottimo cantante, bravo scrittore di canzoni, bravissimo chitarrista! Si chiama Marcus Eaton ed è venuto al Meeting come dimostratore delle nuove chitarre Martin Performing Artist Series e in compagnia del suo amico Roy McAlister, il grande liutaio che a Sarzana ha lasciato un pezzo di cuore. Suo padre, Steve Eaton, è un autore di canzoni che ha scritto per artisti del calibro di Art Garfunkel, Glen Campbell, i Carpenters e Anne Murray. Così Marcus è cresciuto con la canzone d’autore nel sangue. I suoi idoli musicali sono poi Tim Reynolds e Dave Matthews, e questo già ci fa capire qualcosa della sua musica. Infine il suo ultimo album If I Had Wings, recensito sul numero di settembre, ci ha dato una prova tangibile del suo valore. Del suo talento si è accorto ultimamente anche David Crosby, che lo ha voluto con sé nel suo prossimo disco in lavorazione: mica male, no? Nella propria pagina Facebook, Marcus ha inserito un album di foto dal titolo Falling in love with Italy 2012 (“Innamorandosi dell’Italia 2012”): mentre lo intervistavamo – con in sottofondo, nello stand accanto, il fior fiore dei ‘bluegrassari’ italiani, Davide Facchini, Danilo Cartia, Andrea Tarquini, Paolo Monesi e Leonardo Petrucci in testa, che intonavano “Will the Circle Be Unbroken” – abbiamo avuto la netta sensazione che presto lo rivedremo. (a.c.)
Puoi raccontare come hai cominciato e come sei arrivato a questo tuo quinto disco If I Had Wings?
Ho registrato il mio primo album a diciannove anni, un disco indipendente autoprodotto. In seguito ho formato un gruppo, Marcus Eaton and the Lobby, e abbiamo inciso un paio di altri dischi per nostro conto, No Way Out nel 1999 e Marcus Eaton and the Lobby nel 2002. Nello stesso anno abbiamo firmato un contratto con l’etichetta discografica Uninhibited/Universal e nel 2003 è uscito un nuovo album intitolato The Day the World Awoke, che ci ha aperto le porte per avere un impresario, fare un tour negli Stati Uniti e condividere il palco con musicisti conosciuti. Purtroppo, nel 2004, la nostra casa discografica è fallita…
È in quel periodo che hai incontrato Tim Reynolds?
Dopo il fallimento della casa discografica il gruppo è entrato in crisi, ha perso fiducia, si girava troppo per troppi pochi soldi. Così ho continuato come solista ed è stato allora che ho iniziato a lavorare con Tim Reynolds. Tim mi ha aiutato molto e in un anno ho diviso il palco con lui in ventisei concerti negli Stati Uniti. È in quello stesso periodo che sono entrato in contatto anche con David Crosby. In occasione di un concerto ad Aspen nel Colorado ho conosciuto un certo Norm Waitt, che mi ha invitato a suonare a una sua festa privata ad Omaha nel Nebraska. Grazie a lui ho avuto anche l’opportunità di partecipare a un importante concerto di Dave Matthews con Tim Reynolds al Santa Barbara Bowl in California, anche se poi ci sono state delle restrizioni sull’orario e non ho potuto realmente suonare. Inoltre ho scoperto che Norm era il titolare dell’etichetta Samson Records, che ha pubblicato alcuni album di Crosby con CPR, e un giorno mi disse: «Sono amico di David Crosby e vorrei presentartelo, potrebbe essere un buon contatto per te». È così che ho cominciato a collaborare con Crosby!
Come mai, secondo te, Waitt ha pensato di presentarti a Crosby? Più precisamente, quali sono state le tue doti che hanno convinto Waitt a promuovere l’incontro con Crosby?
Be’, Norm ha un buon orecchio! Ed io sono stato molto fortunato nella mia formazione musicale: mio padre è un musicista, i miei nonni erano entrambi cantanti lirici, cantavano l’opera italiana! E così sono cresciuto con la musica intorno. Sono stato fortunato anche perché mio padre è un autore di canzoni, non si limitava a suonare e riproporre canzoni di altri. Molti artisti, quando iniziano a cercare la propria identità, di solito continuano a suonare il repertorio di altri musicisti per molto tempo. Io invece, non è che non abbia a mia volta suonato il materiale di altri, ma la capacità di scrivere canzoni mi era familiare e ho cominciato a scriverne fin da molto giovane.
Quindi tu ti consideri in primo luogo un cantautore?
Dopo essere stato a Sarzana, certamente sì… perché i chitarristi qui sono talmente ‘fottutamente’ bravi, che non oserò mai più considerarmi un chitarrista!
A parte gli scherzi, tu sei formalmente un cantautore, perché canti le tue proprie canzoni, ma non suoni come un cantautore tradizionale…
No, c’è qualcosa di più progressivo. Vorre essere innovativo, non vorrei solo ripetere…
Una cosa che ci ha colpito è che tu non sei molto ‘lineare’ nell’esecuzione e nei tuoi brani: hai una bellissima scrittura, ma è veramente nuova, fresca, lontana da formule prestabilite.
È stato difficile per me, perché spesso negli Stati Uniti, quando sembra che le cose non ‘quadrano’, non si ‘adattano’, allora ti dicono: «Ah, questo è reggae! Ah, questo è rock!» Ma le cose sono più complicate, io cerco di spingermi oltre i limiti. E penso anche che in giro ci siano molti musicisti bravissimi, e poi i cantautori. Ma non c’è niente in mezzo, che unisca la grande abilità musicale e la scrittura di canzoni. Io vorrei stare in qualche modo nel mezzo, includere entrambi gli aspetti…
In effetti, nel corso degli anni qui a Sarzana, abbiamo potuto ascoltare da una parte Tommy Emmanuel, un chitarrista ipervulcanico, dall’altra John Gorka, un bravissimo cantautore con un approccio alla chitarra totalmente diverso…
Sì, e in un certo senso non hanno nulla in comune, anche se magari l’uno potrebbe dire che gli piacerebbe che l’altro suonasse nel proprio disco… Ma io vorrei fare tutte e due le cose! Da questo punto di vista Tim Reynolds è il mio pallino, è un musicista eccezionale. È quello che vorrei fare, suonare altrettanto bene e al tempo stesso scrivere e cantare canzoni. È difficile farlo. È anche difficile incorporare un bel modo di suonare in un breve spazio di tempo, come avviene in una canzone.
È una domanda quasi stupida, ma mi serve per aprire poi un altro discorso: nelle tue collaborazioni, con Tim Reynolds, con David Crosby, ti danno delle direzioni? Oppure ti dicono «Noi conosciamo il tuo stile, sei un musicista con cui vogliamo suonare perché stiamo bene insieme, fai semplicemente un buon lavoro» e ti lasciano libero di esprimerti davvero secondo le tue idee
È un’ottima domanda! Il più delle volte, quando si suona per altri musicisti, credo che i parametri in cui ci si muove siano limitati, l’ambito è ristretto. Personalmente, non ho lavorato molto sul materiale di altri musicisti, per cui l’album di Crosby è stato veramente la mia prima esperienza del genere ed ero un po’ nervoso, non ero sicuro di essere all’altezza, non avevo idea di cosa mi potessi aspettare. Ma fortunamente lui è stato talmente collaborativo, che mi ha permesso di fare quello che pensavo e addirittura di comporre delle cose insieme, una cosa incredibile, al di là di ogni aspettativa! D’altra parte il suo materiale musicale è molto vicino a quello che io faccio, anche grazie a suo figlio James Raymond, che è un pianista eccezionale con il quale mi trovo sulla stessa lunghezza d’onda.
Visto che hai questa libertà, ti faccio una domanda un po’ provocatoria: ci hai spiegato che sei libero anche di collaborare alla scrittura dei brani, cioè stai collaborando proprio alla nascita di questo disco, ma saresti libero anche di proporre dei musicisti? Tu qui a Sarzana ti sei presentato come un artista solista che usa delle basi e dei loop, ma il tuo disco è realizzato in trio: potresti proporre qualche musicista che conosci e che secondo te potrebbe trovarsi bene in questa nuova situazione con Crosby?
Vedete, ancora una volta sono molto fortunato: non avevo mai incontrato nessuno veramente come lui, così aperto a nuove idee. È veramente una situazione incredibile, dove l’ego non esiste, dove non c’è spazio per l’egocentrismo. Credo che questa sia una cosa rara. E credo anche che sia rara per uno della generazione di David Crosby: perché siamo io, della mia generazione, James, di una diversa generazione, e David. Siamo tre generazioni a lavorare assieme! David ha un iPad, un iPhone, usa la tecnologia, la capisce, è aperto, è desideroso di provare nuove idee, di provare qualsiasi cosa. Credo che questo sia ammirevole e sono veramente fortunato di condivedere tutta questa situazione.
Fanno della tecnologia lo stesso uso che ne fai tu, oppure tu sei il ‘ragazzino’ del gruppo che ha posto un maggiore accento sulla tecnologia?
Al contrario, è lui a volte a essere più avanzato, a introdurre nuove idee. Per esempio abbiamo appena finito di scrivere e registrare un brano a casa sua, tutto tramite iPad, iPhone e iTunes collegati direttamente agli speaker. È estremamente intelligente e saggio. Stare accanto a una persona così piena di saggezza e priva di qualsiasi forma di egocentrismo ha rappresentato per me un beneficio immenso.
Ma la tecnologia, mi sembra, è sempre al servizio delle persone e della musica, non c’è mai uno sconfinamento nell’abuso: la usate perché è utile…
Sì, la usiamo per trarne vantaggio. Vi racconto una storiella simpatica: io sono su Facebook e ho un amico in Italia che si chiama Nick. Un giorno mi ha scritto dicendomi: «Sei diventato famoso, sei diventato famoso!» E mi ha raccontato che Crosby mi aveva citato in un giornale italiano, la Repubblica. Così mi ha mandato il link dell’articolo, era poco dopo il mio incontro con David, che diceva: «Uno dei miei cantautori preferiti adesso è Marcus Eaton». Non ci potevo credere, ero assolutamente sconvolto: un giornale italiano che parlava di me, era la mia prima apparizione internazionale! La tecnologia serve anche a questo…
Ti sei quindi ritrovato a collaborare con David Crosby, uno dei capisaldi storici della ricerca sulle accordature alternative. Tu le usavi già? Lui ti ha trasmesso qualcosa? Oppure anche in questo caso è stato così aperto da accogliere delle accordature che tu gli hai proposto?
Buona domanda! Quando ci siamo presentati la prima volta a cena con l’amico Norm, abbiamo molto parlato di musica. Poi lui mi ha scritto delle email dicendo che aveva alcune accordature aperte da mostrarmi e che voleva incontrarmi. Incredibile! Così, la prima volta che abbiamo suonato insieme me le ha mostrate e ci siamo scambiati diverse accordature. Per la verità io non uso tante accordature, ma adesso che abbiamo suonato insieme, ho scritto delle canzoni con quelle accordature. E queste canzoni funzionano. Ho lavorato un po’ sulle sue accordature e sono tornato da lui con delle canzoni nuove scritte con le sue accordature: una cosa fantastica! Un’accordatura era quella per “Dèjà Vu” e “Guinnevere”, l’altra era per “Tracks in the Dust”. La prima è quella che ho usato di più: EBDGAD. L’altra è CGDDAD. Abitualmente suonavo in accordatura standard o in Dropped D, e un’altra delle mie preferite era una Dropped B con il Mi basso abbassato in Si. Inoltre uso anche un’accordatura in Do. Le corde che utilizzo sono delle Martin SP Phosphor Bronze abbastanza grosse, di scalatura media .013-.056.
A parte le accordature, puoi parlarci di qualche altro elemento essenziale del tuo stile chitarristico? Un aspetto che ci ha particolarmente colpito è il modo in cui porti il ritmo e l’uso delle stoppate.
Innanzitutto consiglio di usare sempre il metronomo quando ci si esercita. Inoltre, c’è da dire che per molto tempo non ho usato il plettro. Per cui sapevo suonare tutte le mie figurazioni ritmiche senza plettro. Quando ho cominciato a usarlo, il mio modo di tenerlo era sbagliato, la posizione della mia mano era chiusa, il mio polso bloccato. Ho dovuto lavorare molto per rendere il mio polso rilassato, decontratto. E nelle figurazioni ritmiche molto veloci, la parte più importante della mia tecnica ricade sulla mano sinistra. La mano sinistra è fondamentale per guidare la pulsazione, rilasciando ritmicamente la pressione sulle corde. Tra le figurazioni ritmiche suonate dalla mano destra, rilascio la mano sinistra per stoppare le note, è come il pedale di un pianoforte. Alla fine di “Life in Reverse”, il primo brano di As If You Had Wings, questa tecnica è particolarmente evidente.
Grazie Marcus, è stata una chiacchierata e un incontro molto piacevole, vorresti aggiungere qualcosa di personale per concludere?
Questo viaggio in Italia è stato il più bello che io abbia mai fatto. Sono stato contentissimo di scoprire quanto i musicisti, qui, prendano seriamente la musica. Perché questo in effetti è il luogo di nascita dell’arte e della cultura, questo è il posto dove tutto è partito. Anche il mio modo di suonare, sono sicuro, proviene in qualche modo da qui. Mi sento proprio fortunato di essere entrato in contatto con persone così speciali, con musicisti così bravi. Questo festival di chitarra poi è incredibile, mi ha veramente riscaldato il cuore!
Lauro Luppi e Mark Varano