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Dal Blues al Belgio – Intervista a Jacques Stotzem

L’iniziazione alla chitarra acustica è avvenuta per il chitarrista belga Jacques Stotzem sulle orme di Stefan Grossman e del blues tradizionale. Da quelle basi è partita poi, parallelamente all’esperienza di molti suoi colleghi europei e in particolare dell’area francofona, la ricerca di una sua voce personale, capace di amalgamare la tecnica e l’andatura del fingerpicking con le proprie ispirazioni individuali e le tradizioni musicali del suo paese. Un incontro determinante è stato nel 1989 quello con Peter Finger, che lo ha accolto tra le fila della Acoustic Music Records avviandolo a un’importante carriera internazionale. Dal 1991, data del suo primo disco per la AMR Clear Night, Stotzem ha inciso ben dodici album con la prestigiosa etichetta tedesca. E, nel 2006, giunge un altro autorevolissimo riconoscimento: Jacques è il primo chitarrista fingerstyle europeo al quale la Martin propone di realizzare un modello personale di chitarra, la Martin OMC Jacques Stotzem Custom Signature. Con quello strumento dei suoi sogni, realizza nel 2009 anche Catch the Spirit, un album tutto dedicato a brillanti arrangiamenti per sola chitarra di classici della musica rock, da Jimi Hendrix agli U2, da Rory Gallagher ai Radiohead: il disco scala per la prima volta le classifiche belghe. Forte di questo successo, e dimostrando al tempo stesso coraggio, Jacques presenta adesso Lonely Road, un disco di sole composizioni originali: anche in questo caso viene premiato con un bel piazzamento in classifica e la sua definitiva affermazione in patria. A Lonely Road appartiene anche “Irish Hills”, una personale melodia d’ispirazione celtica di cui Stotzem, a coronamento di questa intervista, ha voluto regalarci la tablatura appena realizzata.

Il tuo album precedente Catch the Spirit, con le sue rivisitazioni dal grande repertorio pop e rock, ha avuto un grande successo nel tuo paese, raggiungendo l’ottavo posto nella classifica dei dischi belgi. Hai avuto il coraggio di far seguire a questo album Lonely Road, un disco interamente di composizioni originali, e hai raggiunto nuovamente l’ottava posizione per diverse settimane: puoi raccontare la storia di questa grande affermazione, finalmente, nel tuo paese?
In Belgio c’è una stazione radio molto conosciuta e molto ascoltata, che si chiama Classic 21: questa radio trasmette prevalentemente classic rock e il suo direttore, Marc Ysaye, ha molto apprezzato Catch the Spirit quando è uscito e lo ha mandato spesso in onda. Così molta gente ha scoperto la mia musica attraverso questo CD e tanti l’hanno anche acquistato, permettendogli di ottenere un buon piazzamente nelle classifiche di musica pop. Questo pubblico nuovo per me è venuto anche ai miei concerti, ed ora le stesse persone che avevano acuistato Catch the Spirit scoprono il mio mondo di composizioni originali, riservando un’ottima accoglienza a Lonely Road.

Con Django Reinhardt e poi René Thomas, Philip Catherine, Jacques Pirotton, il Belgio vanta una presenza importante di chitarristi: che posto occupa nella scena musicale belga la musica strumentale per chitarra, e in particolare lo stile che ti rappresenta, nato dal fingerpicking?
I chitarristi che hai citato appartengono all’ambito jazzistico e sono molto rinomati nel loro campo. Per quanto mi riguarda, io sono l’unico in Belgio a praticare professionalmente il fingerpicking, e quindi ho un buon posto nell’universo musicale belga come concertista solista di chitarra fingerstyle.

Ascoltando Catch the Spirit, come d’altra parte tutti i tuoi dischi, ciò che colpisce immediatamente è il suono della tua chitarra, il tuo suono personale, che sembra in gran parte legato ai fingerpicks di plastica: l’uso dei fingerpicks è stato determinato da necessità pratiche (ad esempio la difficoltà di suonare con le unghie su corde di metallo) o è il suono che avevi in mente che ha richiesto questa soluzione?
Ho imparato la chitarra da autodidatta partendo dal blues acustico e ho utilizzato le unghie di plastica fin dall’inizio, perché amavo la dinamica e la pulizia del suono che ottenevo con quei plettri per le dita. Ora fanno parte del mio suono, della mia personalità, della mia musica. Sono molto contento di averli utilizzati da subito, perché mi danno una dinamica molto forte per i brani più energici, e al tempo stesso un suono molto pulito per le ballate. Per un chitarrista solista, la dinamica è molto importante per il rilievo che permette di dare ai brani durante i concerti.

Hai collaborato prima con la Fishman e poi con la Martin: in quale misura il Fishman Ellipse Matrix Blend Pickup System che usi come sistema di amplificazione, e la tua Martin OMC Jacques Stotzem Custom Signature, hanno accompagnato la definizione del tuo suono? Quali caratteristiche hai ricercato in questi strumenti?
Mi piace poter viaggiare con un attrezzatura leggera e utilizzare solo una chitarra nei miei concerti. Per questo scopo ho bisogno di una chitarra molto versatile e di un sistema di amplificazione affidabile. La Martin è sempre stata per me un punto di riferimento per quanto riguarda il suono, adoro le chitarre Martin e il fatto che la Martin mi abbia dedicato un modello signature è stato un grande onore per me. Nel mettere a punto questo mio modello, ho potuto chiedere le caratteristiche che volevo e ho optato per una chitarra OM con tavola armonica in abete sitka e fondo e fasce in palissandro indiano. Si tratta di una combinazione di legni molto comune, per i quali ho chiesto la qualità superiore. Mi piace l’abete Sitka, perché il suono è ricco e potente in tutti i registri, bassi, medi e alti. È il legno che meglio si addice al mio modo di suonare. Lo strumento è una OM a spalla mancante, ma con una tastiera larga 43 millimetri al capotasto, più stretta cioè di quella di un tradizionale modello OM, perché è la larghezza che preferisco. Per l’amplificazione, sono sempre stato molto soddisfatto del sistema Fishman Ellipse Blend, con un sensore al ponte e un microfono a condensatore. Il sistema è molto semplice e mi dà un suono molto acustico, molto efficace, è proprio quello che chiedo a un sistema di amplificazione. Con questo sistema posso suonare molto forte in locali rock o sui grandi palchi dei festival, senza problemi di feedback e ottenendo sempre un suono molto naturale, molto acustico.

Leggendo le prime recensioni del tuo ultimo album, sono rimasto colpito da una frase che ho trovato su Le Soir: «Questo Lonely Road si può ascoltare all’infinito, senza alcuna fatica, tanto la musica è semplice e profonda allo stesso tempo». Trovo questa definizione particolarmente appropriata, così come l’espressione «’Pace’ e ‘profondità’» usata su Music in Belgium: ti riconosci, e in che senso, in queste definizioni?
Sono molto toccato da tutte queste parole così significative riguardanti il mio nuovo CD e dalle ottime recensioni che sono state scritte. Mi rallegro di leggere parole come ‘pace’ e ‘profondità’, perché questi sono due aspetti che tengo molto a cuore quando eseguo dei pezzi in studio o in concerto. Cerco sempre di dare la massima espressione a ognuna delle note di un brano, per farle ‘vivere’ il più possibile. E quando qualcuno si rende conto di questo mio approccio, è un complimento enorme per me. Mi sento personalmente ‘in fase’ e ‘in pace’ con la musica che scrivo e interpreto, perché per me comporre è una parte essenziale della mia vita di musicista.

Hai sempre alternato atmosfere più sentimentali e momenti più ritmici. Ma, se posso parlare di Lonely Road come di un ‘disco della maturità’, trovo che le tue due anime musicali qui siano perfettamente integrate. Ci sono sempre dei pezzi più lenti e dei pezzi più ritmici, ma tutte le tue composizioni e i tuoi arrangiamenti distribuiscono nel corso dell’esecuzione i vari elementi del discorso musicale in un modo organizzato e completo in se stesso: il ritmo, la melodia, l’armonia, le pause, le dinamiche…
Grazie per il complimento sulle mie composizioni. Scrivere un pezzo, a mio modo di vedere, è un po’ come raccontare una storia. E tutti gli elementi che hai citato, come il ritmo, la melodia, l’armonia, le pause e così via, sono davvero per me gli elementi essenziali di una composizione, che permettono di dare rilievo a queste storie musicali. Per esempio, l’uso di modi diversi equivale all’uso di una tavolozza di colori da parte di un pittore, la dinamica dà vita ai pezzi, le pause lasciano respirare; e osare fare delle pause che permettono di sentire le note fino alla loro ultima vibrazione, dà veramente una dimensione molto lirica a un brano scritto per chitarra acustica.

Un momento particolare del disco è “Picking in Paris”, un omaggio al tipico picking francese con le sue modulazioni tra maggiore e minore. Com’è che hai voluto ricordare in modo particolare Michel Haumont per l’occasione, piuttosto che Marcel Dadi per esempio?
È vero che questo brano è un tributo al ‘French picking’ del grande Marcel Dadi, ma se ho fatto riferimento a Michel Haumont è perché il mio pezzo è stato ispirato da una composizione di Michel intitolata “Mister Picking”, che a sua volta lui ha dedicato a Marcel. Michel era un suo allievo ed è un grande rappresentante della chitarra picking francese. Mi capita spesso di incontrarlo in occasione di concerti e siamo ottimi amici. Poi, naturalmente, da un punto di vista personale e chitarristico, devo molto anche a Dadi e il legame di “Picking in Paris” con lui è evidente.

Hai sempre parlato di te come di un autodidatta, per la musica e la chitarra, e dell’importanza che ha avuto Stefan Grossman per la tua prima formazione: come sei arrivato dal blues tradizionale alla definizione di uno stile personale così europeo e moderno allo stesso tempo?
Ho iniziato con il blues acustico di Big Bill Broonzy, Gary Davis, Mississippi John Hurt… Questa musica che amo mi ha fatto scoprire la tecnica del fingerpicking e ho imparato un sacco di brani blues e ragtime. Ma sono anche un fan delle melodie e provavo in parte una frustrazione nel blues, per l’assenza di una vera e propria melodia: è questa assenza di melodia che inizialmente mi ha spinto a comporre. Volevo comporre dei pezzi nei quali la chitarra potesse ‘cantare’. Gradualmente, questa ricerca della melodia ha plasmato il mio stile e mi ha aiutato a sviluppare una personalità musicale molto europea, che mescola i generi.

Hai recentemente pubblicato il DVD con libro allegato Play like Jacques Stotzem: a tua volta, qual è il tuo approccio all’insegnamento della chitarra?
Tengo molti seminari e, sempre di più in queste occasioni, mi concentro sul suono che si ottiene sullo strumento. Attualmente, grazie a Internet, si trovano in giro un mucchio di tablature, ma non è perché uno ha la trascrizione di un brano che per questo lo sa suonare. Così uno stage dovrebbe diventare un momento di condivisione con un musicista e, agli studenti che partecipano ai miei seminari, insegno a capire e a far ‘suonare’ un pezzo, curando la dinamica e il suono della mano destra. In termini generali si lavora sulla sonorità per dare un ‘peso’ alle note, senza accontentarsi unicamente di imparare la tecnica di un brano. Per me, ci sono tre tappe nell’apprendimento di un pezzo: 1) la lettura del brano e il lavoro tecnico sugli accordi, sulle sequenze armoniche; 2) la pratica del pezzo per dare fluidità ai passaggi tecnicamente difficoltosi; 3) ‘fare musica’ con tutte queste informazioni, lavorando sulla dinamica, sul suono. Quest’ultima fase è secondo me la più difficile, perché richiede di prestare attenzione a ciascuna delle note di un pezzo. E, alla fine, darà l’emozione e la vita a questo pezzo.

Uno dei possibili sviluppi del discorso aperto da Catch the Spirit poteva essere un disco di brani cantati. Durante i tuoi concerti italiani dell’estate 2010, hai presentato delle rivisitazioni di canzoni con la giovane e talentuosa cantante Géraldine Jonet: pensi di dare un seguito a questa esperienza?
Sì, certamente, in futuro vorrei registrare un CD con Géraldine Jonet. Stiamo lavorando su un repertorio molto dinamico di rock acustico, con cover di Jimi Hendrix, Rory Gallagher e altri. Quello che vorremmo realizzare è un duo diverso dal tradizionale duo voce e chitarra: vorremmo che fosse come un’associazione in cui ciascuno abbia un posto ben definito, in cui sia la voce che la chitarra possano disporre di molto spazio per esprimersi.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Nel mio programma di quest’anno ci sono molti concerti per la promozione del mio nuovo CD. Poi vorrei continuare a scrivere nuovi brani e lavorare al progetto con Géraldine Jonet. Vorrei anche preparare una seconda parte di Catch the Spirit. Inoltre sono stato contattato per comporre una colonna sonora per un film di produzione belga e, infine, spero di tornare presto a suonare in Italia, perché amo questo paese e l’accoglienza del suo pubblico!

Per saperne di più:
www.stotzem.com
www.youtube.com/JStotzem


Chitarra Acustica, 3/2012, pp. 14-17L’iniziazione alla chitarra acustica è avvenuta per il chitarrista belga Jacques Stotzem sulle orme di Stefan Grossman e del blues tradizionale. Da quelle basi è partita poi, parallelamente all’esperienza di molti suoi colleghi europei e in particolare dell’area francofona, la ricerca di una sua voce personale, capace di amalgamare la tecnica e l’andatura del fingerpicking con le proprie ispirazioni individuali e le tradizioni musicali del suo paese. Un incontro determinante è stato nel 1989 quello con Peter Finger, che lo ha accolto tra le fila della Acoustic Music Records avviandolo a un’importante carriera internazionale. Dal 1991, data del suo primo disco per la AMR Clear Night, Stotzem ha inciso ben dodici album con la prestigiosa etichetta tedesca. E, nel 2006, giunge un altro autorevolissimo riconoscimento: Jacques è il primo chitarrista fingerstyle europeo al quale la Martin propone di realizzare un modello personale di chitarra, la Martin OMC Jacques Stotzem Custom Signature. Con quello strumento dei suoi sogni, realizza nel 2009 anche Catch the Spirit, un album tutto dedicato a brillanti arrangiamenti per sola chitarra di classici della musica rock, da Jimi Hendrix agli U2, da Rory Gallagher ai Radiohead: il disco scala per la prima volta le classifiche belghe. Forte di questo successo, e dimostrando al tempo stesso coraggio, Jacques presenta adesso Lonely Road, un disco di sole composizioni originali: anche in questo caso viene premiato con un bel piazzamento in classifica e la sua definitiva affermazione in patria. A Lonely Road appartiene anche “Irish Hills”, una personale melodia d’ispirazione celtica di cui Stotzem, a coronamento di questa intervista, ha voluto regalarci la tablatura appena realizzata.

Il tuo album precedente Catch the Spirit, con le sue rivisitazioni dal grande repertorio pop e rock, ha avuto un grande successo nel tuo paese, raggiungendo l’ottavo posto nella classifica dei dischi belgi. Hai avuto il coraggio di far seguire a questo album Lonely Road, un disco interamente di composizioni originali, e hai raggiunto nuovamente l’ottava posizione per diverse settimane: puoi raccontare la storia di questa grande affermazione, finalmente, nel tuo paese?
In Belgio c’è una stazione radio molto conosciuta e molto ascoltata, che si chiama Classic 21: questa radio trasmette prevalentemente classic rock e il suo direttore, Marc Ysaye, ha molto apprezzato Catch the Spirit quando è uscito e lo ha mandato spesso in onda. Così molta gente ha scoperto la mia musica attraverso questo CD e tanti l’hanno anche acquistato, permettendogli di ottenere un buon piazzamente nelle classifiche di musica pop. Questo pubblico nuovo per me è venuto anche ai miei concerti, ed ora le stesse persone che avevano acuistato Catch the Spirit scoprono il mio mondo di composizioni originali, riservando un’ottima accoglienza a Lonely Road.

Con Django Reinhardt e poi René Thomas, Philip Catherine, Jacques Pirotton, il Belgio vanta una presenza importante di chitarristi: che posto occupa nella scena musicale belga la musica strumentale per chitarra, e in particolare lo stile che ti rappresenta, nato dal fingerpicking?
I chitarristi che hai citato appartengono all’ambito jazzistico e sono molto rinomati nel loro campo. Per quanto mi riguarda, io sono l’unico in Belgio a praticare professionalmente il fingerpicking, e quindi ho un buon posto nell’universo musicale belga come concertista solista di chitarra fingerstyle.

Ascoltando Catch the Spirit, come d’altra parte tutti i tuoi dischi, ciò che colpisce immediatamente è il suono della tua chitarra, il tuo suono personale, che sembra in gran parte legato ai fingerpicks di plastica: l’uso dei fingerpicks è stato determinato da necessità pratiche (ad esempio la difficoltà di suonare con le unghie su corde di metallo) o è il suono che avevi in mente che ha richiesto questa soluzione?
Ho imparato la chitarra da autodidatta partendo dal blues acustico e ho utilizzato le unghie di plastica fin dall’inizio, perché amavo la dinamica e la pulizia del suono che ottenevo con quei plettri per le dita. Ora fanno parte del mio suono, della mia personalità, della mia musica. Sono molto contento di averli utilizzati da subito, perché mi danno una dinamica molto forte per i brani più energici, e al tempo stesso un suono molto pulito per le ballate. Per un chitarrista solista, la dinamica è molto importante per il rilievo che permette di dare ai brani durante i concerti.

Hai collaborato prima con la Fishman e poi con la Martin: in quale misura il Fishman Ellipse Matrix Blend Pickup System che usi come sistema di amplificazione, e la tua Martin OMC Jacques Stotzem Custom Signature, hanno accompagnato la definizione del tuo suono? Quali caratteristiche hai ricercato in questi strumenti?
Mi piace poter viaggiare con un attrezzatura leggera e utilizzare solo una chitarra nei miei concerti. Per questo scopo ho bisogno di una chitarra molto versatile e di un sistema di amplificazione affidabile. La Martin è sempre stata per me un punto di riferimento per quanto riguarda il suono, adoro le chitarre Martin e il fatto che la Martin mi abbia dedicato un modello signature è stato un grande onore per me. Nel mettere a punto questo mio modello, ho potuto chiedere le caratteristiche che volevo e ho optato per una chitarra OM con tavola armonica in abete sitka e fondo e fasce in palissandro indiano. Si tratta di una combinazione di legni molto comune, per i quali ho chiesto la qualità superiore. Mi piace l’abete Sitka, perché il suono è ricco e potente in tutti i registri, bassi, medi e alti. È il legno che meglio si addice al mio modo di suonare. Lo strumento è una OM a spalla mancante, ma con una tastiera larga 43 millimetri al capotasto, più stretta cioè di quella di un tradizionale modello OM, perché è la larghezza che preferisco. Per l’amplificazione, sono sempre stato molto soddisfatto del sistema Fishman Ellipse Blend, con un sensore al ponte e un microfono a condensatore. Il sistema è molto semplice e mi dà un suono molto acustico, molto efficace, è proprio quello che chiedo a un sistema di amplificazione. Con questo sistema posso suonare molto forte in locali rock o sui grandi palchi dei festival, senza problemi di feedback e ottenendo sempre un suono molto naturale, molto acustico.

Leggendo le prime recensioni del tuo ultimo album, sono rimasto colpito da una frase che ho trovato su Le Soir: «Questo Lonely Road si può ascoltare all’infinito, senza alcuna fatica, tanto la musica è semplice e profonda allo stesso tempo». Trovo questa definizione particolarmente appropriata, così come l’espressione «’Pace’ e ‘profondità’» usata su Music in Belgium: ti riconosci, e in che senso, in queste definizioni?
Sono molto toccato da tutte queste parole così significative riguardanti il mio nuovo CD e dalle ottime recensioni che sono state scritte. Mi rallegro di leggere parole come ‘pace’ e ‘profondità’, perché questi sono due aspetti che tengo molto a cuore quando eseguo dei pezzi in studio o in concerto. Cerco sempre di dare la massima espressione a ognuna delle note di un brano, per farle ‘vivere’ il più possibile. E quando qualcuno si rende conto di questo mio approccio, è un complimento enorme per me. Mi sento personalmente ‘in fase’ e ‘in pace’ con la musica che scrivo e interpreto, perché per me comporre è una parte essenziale della mia vita di musicista.

Hai sempre alternato atmosfere più sentimentali e momenti più ritmici. Ma, se posso parlare di Lonely Road come di un ‘disco della maturità’, trovo che le tue due anime musicali qui siano perfettamente integrate. Ci sono sempre dei pezzi più lenti e dei pezzi più ritmici, ma tutte le tue composizioni e i tuoi arrangiamenti distribuiscono nel corso dell’esecuzione i vari elementi del discorso musicale in un modo organizzato e completo in se stesso: il ritmo, la melodia, l’armonia, le pause, le dinamiche…
Grazie per il complimento sulle mie composizioni. Scrivere un pezzo, a mio modo di vedere, è un po’ come raccontare una storia. E tutti gli elementi che hai citato, come il ritmo, la melodia, l’armonia, le pause e così via, sono davvero per me gli elementi essenziali di una composizione, che permettono di dare rilievo a queste storie musicali. Per esempio, l’uso di modi diversi equivale all’uso di una tavolozza di colori da parte di un pittore, la dinamica dà vita ai pezzi, le pause lasciano respirare; e osare fare delle pause che permettono di sentire le note fino alla loro ultima vibrazione, dà veramente una dimensione molto lirica a un brano scritto per chitarra acustica.

Un momento particolare del disco è “Picking in Paris”, un omaggio al tipico picking francese con le sue modulazioni tra maggiore e minore. Com’è che hai voluto ricordare in modo particolare Michel Haumont per l’occasione, piuttosto che Marcel Dadi per esempio?
È vero che questo brano è un tributo al ‘French picking’ del grande Marcel Dadi, ma se ho fatto riferimento a Michel Haumont è perché il mio pezzo è stato ispirato da una composizione di Michel intitolata “Mister Picking”, che a sua volta lui ha dedicato a Marcel. Michel era un suo allievo ed è un grande rappresentante della chitarra picking francese. Mi capita spesso di incontrarlo in occasione di concerti e siamo ottimi amici. Poi, naturalmente, da un punto di vista personale e chitarristico, devo molto anche a Dadi e il legame di “Picking in Paris” con lui è evidente.

Hai sempre parlato di te come di un autodidatta, per la musica e la chitarra, e dell’importanza che ha avuto Stefan Grossman per la tua prima formazione: come sei arrivato dal blues tradizionale alla definizione di uno stile personale così europeo e moderno allo stesso tempo?
Ho iniziato con il blues acustico di Big Bill Broonzy, Gary Davis, Mississippi John Hurt… Questa musica che amo mi ha fatto scoprire la tecnica del fingerpicking e ho imparato un sacco di brani blues e ragtime. Ma sono anche un fan delle melodie e provavo in parte una frustrazione nel blues, per l’assenza di una vera e propria melodia: è questa assenza di melodia che inizialmente mi ha spinto a comporre. Volevo comporre dei pezzi nei quali la chitarra potesse ‘cantare’. Gradualmente, questa ricerca della melodia ha plasmato il mio stile e mi ha aiutato a sviluppare una personalità musicale molto europea, che mescola i generi.

Hai recentemente pubblicato il DVD con libro allegato Play like Jacques Stotzem: a tua volta, qual è il tuo approccio all’insegnamento della chitarra?
Tengo molti seminari e, sempre di più in queste occasioni, mi concentro sul suono che si ottiene sullo strumento. Attualmente, grazie a Internet, si trovano in giro un mucchio di tablature, ma non è perché uno ha la trascrizione di un brano che per questo lo sa suonare. Così uno stage dovrebbe diventare un momento di condivisione con un musicista e, agli studenti che partecipano ai miei seminari, insegno a capire e a far ‘suonare’ un pezzo, curando la dinamica e il suono della mano destra. In termini generali si lavora sulla sonorità per dare un ‘peso’ alle note, senza accontentarsi unicamente di imparare la tecnica di un brano. Per me, ci sono tre tappe nell’apprendimento di un pezzo: 1) la lettura del brano e il lavoro tecnico sugli accordi, sulle sequenze armoniche; 2) la pratica del pezzo per dare fluidità ai passaggi tecnicamente difficoltosi; 3) ‘fare musica’ con tutte queste informazioni, lavorando sulla dinamica, sul suono. Quest’ultima fase è secondo me la più difficile, perché richiede di prestare attenzione a ciascuna delle note di un pezzo. E, alla fine, darà l’emozione e la vita a questo pezzo.

Uno dei possibili sviluppi del discorso aperto da Catch the Spirit poteva essere un disco di brani cantati. Durante i tuoi concerti italiani dell’estate 2010, hai presentato delle rivisitazioni di canzoni con la giovane e talentuosa cantante Géraldine Jonet: pensi di dare un seguito a questa esperienza?
Sì, certamente, in futuro vorrei registrare un CD con Géraldine Jonet. Stiamo lavorando su un repertorio molto dinamico di rock acustico, con cover di Jimi Hendrix, Rory Gallagher e altri. Quello che vorremmo realizzare è un duo diverso dal tradizionale duo voce e chitarra: vorremmo che fosse come un’associazione in cui ciascuno abbia un posto ben definito, in cui sia la voce che la chitarra possano disporre di molto spazio per esprimersi.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Nel mio programma di quest’anno ci sono molti concerti per la promozione del mio nuovo CD. Poi vorrei continuare a scrivere nuovi brani e lavorare al progetto con Géraldine Jonet. Vorrei anche preparare una seconda parte di Catch the Spirit. Inoltre sono stato contattato per comporre una colonna sonora per un film di produzione belga e, infine, spero di tornare presto a suonare in Italia, perché amo questo paese e l’accoglienza del suo pubblico!

Per saperne di più:
www.stotzem.com
www.youtube.com/JStotzem


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