(di Fabio Lossani) Sono stato invitato a Sarzana per seguire e tradurre dall’inglese i vari termini specialistici durante il corso che Tony McManus ha tenuto al Meeting. Come alcuni di voi sapranno, il fingerstyle non è proprio la tecnica nella quale mi sono specializzato, ma ancora una volta ho avuto la riprova che il contatto con grandi musicisti di qualsiasi genere, stile o strumento dà sempre la possibilità di crescere, esplorare nuovi campi e far nascere nuove idee. Sicuramente il fatto che Tony sia autodidatta condiziona il suo modo di insegnare, molto legato all’imitazione ed all’intuito. Raramente l’ho sentito parlare di diteggiature o soffermarsi molto su di un passaggio, ma sicuramente ha stimolato la creatività dei partecipanti.
Tony McManus si è fatto conoscere in tutto il mondo come chitarrista fingerstyle di primo piano nella musica cosidetta ‘celtica’. La sua grande musicalità gli permette di adattare alla chitarra brani del repertorio di tradizione britannica e, grazie al suo gusto raffinato nell’ornamentazione e ad una pregevole tecnica negli abbellimenti e nella creazione di effetti, riesce a creare l’atmosfera tipica di questa musica. È stato nominato “musicista dell’anno” sia nei BBC Folk Awards che negli Scottish Traditonal Music Awards. E molto apprezzati sono stati i primi due CD per l’etichetta Greentrax Recordings, quello intitolato Tony McManus del 1995 e Pourquoi Quebec del 1998. Segue nel 1999 Return to Kintail col violinista Alasdair Fraser. Nel 2002 il suo disco Ceol More viene premiato come “album dell’anno” dalla rivista Acoustic Guitar e nel 2003 esce Live: Men of Steel con Beppe Gambetta, Dan Crary e Don Ross. Dalla collaborazione con il bassista di musica bretone Alain Genty nasce Singing Sands realizzato a Parigi nel 2005, poi nel 2007 Tony inizia la sua produzione didattica con la serie Celtic Fingerstyle Guitar, metodo in due volumi (libro e video) e in seguito in DVD. Esce nel 2009 The Maker’s Mark, interessante operazione in cui – utilizzando vari strumenti tra cui chitarra-baritono e chitarra-sitar – unisce la sua passione per la musica celtica a quella per l’arte della liuteria. Quindi Celtic Jigs and Reels, DVD didattico che esce nel 2010. A questa produzione personale vanno aggiunte le numerose collaborazioni con altri artisti e alcune esperienze come produttore.
La sua grande simpatia e disponibilità mi hanno portato a concedermi alcune licenze, che Tony ha sempre accettato con la sua risata molto sonora. Per una miglior lettura perciò vi consiglio di immaginarvi quella risata.
Chi sei?
Sono nato e cresciuto in Scozia e la mia famiglia ha radici irlandesi, così da bambino ascoltavo molta musica irlandese, soprattutto canzoni, poi crescendo ho apprezzato e amato la musica strumentale da ballo di quel paese, senza un interesse particolare per uno strumento: mi piaceva quella musica.
Ti ho sentito suonare musica irlandese ma anche greca, klezmer, classica; e per questo mi sono fatto l’idea che, se pur nata da un grande apprezzamento, l’etichetta di «miglior chitarrista celtico del mondo» ti sia un po’ stretta.
Sono chitarrista, non suono uno strumento melodico tradizionale, non suono il violino né il flauto o le uillean pipes e neppure l’accordeon, così arrivo automaticamente a questa musica da una differente prospettiva. Ed inoltre ho ascoltato in tutti questi anni molta musica proveniente da tutto il mondo, che spesso ho cercato di interpretare con la mia chitarra ed il mio gusto personale.
Quali ritieni siano i dischi che meglio ti possano far conoscere?
Escludendo questo ultimo Mysterious Boundaries, perché fa parte di un nuovo progetto, probabilmente Maker’s Mark è quello che potrebbe essere il mio biglietto da visita. Su quindici chitarre di alta liuteria ho registrato le melodie di brani irlandesi, scozzesi, musica balcanica, africana, un madrigale di Monteverdi; e alla fine ho sovrainciso l’accompagnamento. Così in quel progetto ho realizzato di suonare su splendide chitarre della musica che mi emozionava.
Tu non componi molto…
Quando ascolto la musica, per esempio di Bach, il mio primo pensiero è sulla sua complessità e il secondo… che nemmeno tra un milione di anni riuscirò a comporre qualcosa a quel livello! Ascoltando qualcosa di un’altra cultura e tradizione musicale o di nuovi compositori, sono più portato a pensare: «Devo fare qualcosa con questa musica». Questa la mia tendenza ed in generale il mio modo di lavorare.
Sei mancino ma suoni da destro…
Sì, sono un mancino, ma che suona ‘correttamente’ [in inglese right significa ‘destro’ ma anche ‘giusto’, ‘corretto’ – ndr]! Ho iniziato suonando il violino, avevo sette anni, e se studi violino non fiddle [termine per lo strumento popolare – ndr] non hai scelta, devi usare la mano sinistra sulla tastiera e la destra per l’archetto. Così quando sono passato al mandolino e quindi alla chitarra, avendo già sviluppato una tecnica sulla mano sinistra, mi è venuto naturale proseguire con quel tipo di tecnica.
Quali chitarre stai usando? E quale ampli?
Suono una Paul Reed Smith modello Tony McManus Signature. PRS mi contattò all’inizio del loro progetto acustico, ed ebbe da me un riscontro positivo per quanto riguardava i primi modelli, così iniziò una collaborazione che con Paul diventò anche una grande amicizia. Sono veramente felice di quest’avventura e sento di poter dare una mia opinione nella realizzazione di questi strumenti. È un progetto brillante, che non consiste nell’operazione commerciale del chitarrista elettrico che suona una chitarra acustica: l’indirizzo della ditta è costruire chitarre acustiche non per compiacere una rockstar, ma per essere suonate da un chitarrista acustico. Sinceramente, per quanto riguarda l’ampli, non me ne sono mai occupato. Ultimamente però ne sto parlando con un costruttore scozzese che sta in Minnesota, Gerry Humphrey. Produce degli ottimi ampli per acustica: come dicevo, ne stiamo parlando…
Ho notato che non suoni spesso la dodici corde, anche se so possiedi una stupenda Larrivée: non credi che questo strumento possa essere adatto, per la sua vicinanza col bouzouki, all’utilizzo nella musica tradizionale?
Forse lo farò ma non è semplice, perché la dodici corde corde è uno strumento molto particolare.
In quali occasioni utilizzi il plettro?
Lo uso quando suono in gruppo con altri, allora suono flatpicking; ma in concerto da solo non è il caso.
A questo proposito a te piace suonare con altri o preferisci il concerto solo? Se dovessi scegliere…
Mi piace collaborare con altri musicisti , anche se negli ultimi dischi ero da solo. Ho lavorato con musicisti da tutte le parti del mondo ed in questo momento suono con una sezione ritmica di musicisti di Baltimora.
Quali progetti per il futuro ?
Ho incontrato da Paul Reed Smith i due fratelli Grainger, Greg grande batterista e Gary un fenomeno di bassista, che ha suonato con John Scofield per molti anni. Da Paul abbiamo suonato un po’ insieme ed ha funzionato, così mi piacerebbe fare qualcosa insieme, ma dipende molto dai vari impegni che abbiamo.
Ora una domanda molto interessata: quando farai un disco dedicato a Django Reinhardt?
Intendi quando comincerò a suonare manouche?
No, veramente non pensavo a ‘McManouche’, ma più a qualcosa tipo quello che fece Marcel Dadi!
Questa è un’idea interessante, magari possiamo realizzarla insieme, io e te! Il mio buon amico John Jorgenson suona straordinariamente gipsy jazz, e conosco molto bene anche Joscho Stephan.
Torniamo per un momento ancora sulla musica irlandese: dove pensi stiano andando la chitarra e la musica irlandese, o meglio dove dovrebbero andare secondo te?
Penso che la chitarra sia uno strumento così duttile da poter andare in molte direzioni. Con il DADGAD, soprattutto nell’accompagnamento, tutti hanno iniziato a suonare nello stesso modo con sonorità molto simili, con poca originalità. Ma ora alcune cose stanno cambiando: per esempio c’è molta gente in Irlanda che utilizza le corde di nylon con plettro heavy, ottenendo un sound veramente interessante. O c’è questo Dave Hawley molto giovane che ho incontrato a Montreal, viene da Gowe e suona l’accompagnamento in DADGAD con grande swing, molto differente rispetto a com’era negli anni ’70. Sì, in questo momento ci sono molti modi differenti di proporre questa musica.
Parliamo ora dell’oggetto della tua emozione di oggi, cioè il tuo nuovo CD Mysterious Boundaries, che è arrivato ancora caldo di stampa da oltreoceano ed anche tu hai visto oggi per la prima volta aprendo la scatola arrivata dalla dogana italiana. Prima domanda [ci guardiamo e diciamo in coro, ridendo]: «Why?»
Innanzi tutto mi piace mettermi alla prova. Il mio amico Mike Marshall, grande mandolinista, ha realizzato questo progetto iniziato in Italia nel 2010, suonando il “Preludio in Mi maggiore” di Bach col mandolino: perfetto! Ho pensato: «Devo impararlo!» Ma mi sono reso conto che era impossibile, però ho cercato comunque di arrangiarlo in DADGAD. Questo lavoro mi ha occupato per sette mesi.
Non ti spaventava il possibile giudizio del mondo dei chitarristi classici?
No, perché io non faccio parte di quel mondo e l’interazione che ho avuto col mondo della chitarra classica è sempre stata molto positiva. Non c’è senso nell’idea che qualcuno possa fare le cose in modo più appropriato rispetto ad altri. Partecipavo al Guitar Festival di Uppsala in Svezia e Peter Fletcher, chitarrista classico che ha realizzato varie trascrizioni dei brani di Erik Satie, era tra il pubblico: io ho suonato e dopo il concerto abbiamo avuto una lunga conversazione, in cui lui mi ha fatto i complimenti per la mia esecuzione di “Gnossienne No. 1” di Satie e il mio arrangiamento di Bach. Conosco pochi chitarristi classici, ma non ho mai avuto da parte loro un atteggiamento critico nei miei confronti.
Un’altra particolarità è che tu non usi una chitarra classica per suonare musica classica, e che nonostante non utilizzi la tecnica dell’appoggiato il tuo suono ha un bilanciamento straordinario…
Paul mi ha regalato una chitarra con corde in nylon per il mio compleanno, ma io volevo utilizzare il mio strumento che è la chitarra con le corde in acciaio. Per quanto mi riguarda, la sensibilità si evolve a seconda dello strumento che suoni: io possiedo ottime chitarre classiche, ma il mio strumento è la chitarra con corde in acciaio e il mio modo di suonare si è evoluto seguendo la risposta di questo tipo di strumento. Il bilanciamento è importante ed ogni volta che arrangio canzoni o musica per danza la cosa più importante è che la melodia sia ben chiara. Non mi interessa suonare una massa di note, ma elementi ben distinti tra loro: melodia, armonia, la linea del basso e il ritmo.
A quali chitarristi classici storici ti sei ispirato, oltre ovviamente Julian Bream del quale presenti l’arrangiamento della “Spanish Dance No. 4” di Granados ?
Il brano più lungo del disco è la “Ciaccona” di Bach ed il mio arrangiamento è molto differente rispetto agli arrangiamenti per chitarra, fra i quali quello di Segovia è il più conosciuto. Ho ascoltato le esecuzioni per liuto barocco e per tiorba, ed in particolare quelle di Nigel North liutista veramente straordinario: trovo sia bellissimo il modo in cui realizza la linea del basso, lui è stato una fonte di ispirazione per me anche se la mia tecnica è differente.
Proprio questo intendevo prima: tu hai una tecnica soprattutto della mano destra che il mio rigoroso maestro di chitarra classica avrebbe definito ‘terribile’, eppure riesci a realizzare il senso dei brani che suoni.
Infatti questo è il fulcro di quest’album e, come dico nelle brevi note di copertina, il mio obiettivo non era quello di provare ad essere un musicista classico o pretendere di presentarmi come chitarrista classico: io sono quello che sono. Tutta la vita ho cercato di trasmettere le emozioni che certa musica mi provocava e per quanto riguarda questo disco, anche se il genere è diverso, le motivazioni sono le stesse. La strada per ottenere questo è differente rispetto a quella di qualsiasi chitarrista classico ma lo scopo è lo stesso. Per buona parte del repertorio di chitarra classica si tratta di trascrizioni da partiture per altri strumenti, ed allora perché non trascrivere anche per chitarra acustica: probabilmente se Bach fosse vivo adesso scriverebbe anche per questo strumento.
Ora facci la promozione del tuo disco, convinci i lettori: «Comprate il mio disco perché»…
…Ho dei conti da pagare! No… con questo disco io spero di trasmettere il senso di questo mio nuovo viaggio, che per me è stato molto intimista fin dai primi giorni, due anni fa, quando non sapevo dove sarei arrivato.
Personalmente credo che la frase ideale per definire questo tuo lavoro potrebbe essere, citando Couperin: «leggero come un battito di ciglia».
Fabio Lossani