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Moderno e classico con forti radici nel blues – Intervista a Corey Christiansen Moderno e classico con forti radici nel blues – Intervista a Corey Christiansen

Quello di Corey Christiansen è un nome ben noto agli appassionati e studiosi di chitarra jazz. Corey è, infatti, un conosciutissimo didatta autore di moltissimi testi di studio editi dalla Mel Bay, una delle case editrici di riferimento nel campo della musica (non solo jazz), per la quale dal 2000 al 2007 è stato caporedattore e guitar clinician. Corey ha al suo attivo ormai più di settanta pubblicazioni, tra metodi di studio e DVD didattici. Figlio d’arte – il padre Mike Christiansen è, a sua volta, uno storico didatta con incarico di Professor of Music and Director of Guitar Studies presso il Music Department della Utah State University – Corey ha seguito le orme paterne conseguendo dapprima un bachelor’s degree presso la Utah State University e poi, dopo aver studiato con il leggendario insegnante Jack Petersen, ha conseguito nel 1999 il master’s degree presso la University of South Florida, sostituendo l’anno dopo proprio il maestro Jack Petersen. Alla didattica, Corey affianca un’attività d’incisione e concertistica di tutto rispetto, che lo ha visto al fianco di artisti del calibro di Vic Juris, Jimmy Bruno John Pisano, Andy Summers, Dr. Lonnie Smith, Jack Wilkins, Randy Johnston, Frank Vignola e molti altri.

Corey, com’è cominciato il tuo interesse verso la chitarra jazz? Provieni da una famiglia di musicisti?
Ho cominciato suonando la chitarra jazz a scuola. Sono cresciuto in una famiglia di musicisti, a casa mio padre suonava sempre brani famosi per noi, così ho avuto modo di conoscere sin da piccolo i grandi chitarristi jazz come Wes Montgomery, Joe Pass, Pat Metheny, John Scofield e molti altri. A scuola ho fatto parte della jazz band sin da quando avevo circa dodici anni. Ho imparato a suonare i voicing nello stile di Freddie Green e mi sembra di ricordare che sapessi fare un assolo già da giovanissimo. In ogni caso, già quand’ero molto giovane suonavo anche blues e rock. Mio padre era anche amico di Johnny Smith [storico chitarrista degli anni ‘50 e ‘60, famoso per la sua padronanza dello stile chord melody – ndr] che era solito venire a casa nostra per qualche giorno durante l’estate. Ha tenuto anche dei concerti a casa nostra quando ero molto giovane, e ricordo che ero innamorato del suo suono. Era un uomo molto amabile e passava sempre del tempo con me, quando era a casa, parlandomi di chitarre e raccontandomi aneddoti del suo passato. Ho affrontato più seriamente la chitarra una volta divenuto adolescente, cominciando a focalizzarmi sulla chitarra jazz al college. Ho sempre avuto eccellenti insegnanti di chitarra come mio padre, Mike Christiansen e Jack Petersen. Ho avuto grandi riferimenti sia come esecutori che come insegnanti.

Tu sei molto conosciuto come insegnante, hai realizzato diversi testi di studio riguardanti la chitarra bebop e il jazz modern – ho i tuoi testi della serie Essential Jazz Lines e Bebop Blues e sono eccellenti. Guardando al lavoro svolto da maestri come Joe Diorio e Mick Goodrick, sembra che molto sia ormai stato detto in questo campo: pensi ci sia ancora qualcosa da dire, in particolare riguardo ad argomenti come l’armonia jazz o l’improvvisazione?
Una cosa che ho imparato lavorando alla Mel Bay come senior editor è che c’è sempre qualcos’altro da dire riguardo a qualunque argomento. Anche se un argomento è già stato trattato da qualcun altro, è utilissimo considerarlo da un nuovo punto di vista. Amo molto leggere i testi o andare a workshop in cui la gente parla di argomenti che mi sono familiari, perché mi consente di vederli in una nuova prospettiva. Approfondisco la mia conoscenza sull’argomento e mi aiuta anche a ravvivare un argomento che poteva sembrare un po’ usurato. C’è sempre spazio per vedere in una nuova prospettiva un vecchio argomento.

È difficile insegnare il jazz e la musica in generale? Ricordo che quand’ero giovane usavo molto i metodi Aebersold: quel modo di apprendere il jazz è ancora valido?
Non credo sia necessariamente difficile insegnare il jazz. È un linguaggio, e quindi deve essere insegnato come tale. La maniera migliore di imparare una lingua è conversare con le persone che la parlano. È la stessa cosa con la musica: impara alcune frasi da dire e poi salta dentro la conversazione e comincia ad apprendere nuove frasi, battute, domande e risposte… dopo un po’ sarai in grado di parlare fluentemente. I Play-A-Long della Aebersold sono decisamente fantastici. Li impiego stabilmente con i miei studenti e io stesso nella mia pratica quotidiana. Sono di grande supporto, perché utilizzandoli puoi sentire come si sviluppa il tuo linguaggio all’interno del contesto di un brano musicale. Li raccomando a tutti coloro con cui lavoro.

Nel tuo percorso di insegnamento, ti concentri prevalentemente su un argomento – scale, tecnica del targeting ecc. – o preferisci coprire l’intero campo degli approcci improvvisativi, lasciando che sia lo studente a trovare la sua personale via verso l’improvvisazione?

Le mie lezioni generalmente riguardano l’improvvisazione, solitamente una singola tecnica o un singolo concetto alla volta, il comping [le tecniche di accompagnamento – ndr] e la chitarra solista, oppure anche lo studio di un arrangiamento particolare di un grande artista o lo studio di come arrangiare un brano. Questo mantiene interessanti gli argomenti e consente allo studente di focalizzarsi su un determinato concetti, avendo al contempo varie cose su cui esercitarsi. Per un chitarrista è importante esercitarsi sulle tecniche di comping altrettanto, se non più, che sulle tecniche soliste. In fin dei conti, la maggior parte del tempo noi accompagniamo, per cui questo è il terreno sul quale dobbiamo focalizzarci. Desidero che i miei studenti diventino chitarristi completi, senza lacune. Sembra funzionare e devo dire che nelle scuole in cui insegno ci sono alcuni studenti veramente eccellenti.

Oggi ci sono negli Stati Uniti molte scuole di jazz: voi insegnanti vi tenete in contatto tra voi? So che ci sono anche dei convegni come la Jazz Education Network Conference. Di cosa parlate in questi convegni?
Passo molto tempo a discutere con gli altri insegnanti e musicisti in giro per il mondo. Solitamente parliamo degli studenti, dei loro punti di forza, delle loro carenze e di cosa facciamo per aiutarli ad apprendere la musica nel migliore modo possibile. Ho molti amici in questo settore e queste convention sono realmente una grande occasione per capire e captare ciò che gli altri stanno facendo nei loro corsi, in giro per il mondo, come stanno sviluppando la loro arte e… anche per sapere come stanno le rispettive famglie! Cerchiamo anche di approfittare per dedicarci alla buona tavola… probabilmente la parte più importante, giusto?

Più che giusto direi… Veniamo al lato artistico della tua attività. Dagli anni ‘60 in poi possiamo dire che nella chitarra jazz vi sono due principali filoni, i cui caposcuola sono Jim Hall e Wes Montgomery. A quale dei due senti di appartenere?
Entrambi mi hannno influenzato, ma non posso dire quale dei due in maniera maggiore. Jim Hall è riconosciuto come il padre della chitarra jazz moderna. Amo molto la maniera in cui suona, così ‘compositiva’. Il suo approccio è economico, molto elegante e, da un punto di vista armonico, è complesso e audace. Wes, dal canto suo, era in grado di creare linee melodiche nuove e interessanti senza fine. La sua tecnica era affascinante, le sue melodie meravigliose. Ho passato un sacco di tempo a studiare entrambi e non posso dire chi sia il mio preferito, li adoro entrambi.

 Ma in definitiva quali sono gli artisti che ti hanno influenzato di più?
Non è facile rispondere. Ho sempre affermato che avrei voluto suonare come un mix di Wes Montgomery, Grant Green, Jim Hall, John Coltrane, Miles Davis, Jimi Hendrix, Jeff Beck e John Lee Hooker. Ritengo che queste siano le personalità che mi hanno maggiormente influenzato. Ovviamente sono un convinto fan di Metheny, Scofield, Frisell e Abercrombie, e non posso dimenticare la loro musica e l’effetto che ha avuto su di me. Amo la buona musica di qualsiasi genere e cerco di far sì che la mia musica sia un riflesso di tutto quello che ho ascoltato durante la mia vita, indipendentemente dallo stile specifico.

Ho avuto l’opportunità di ascoltare con attenzione la tua musica, mi riferisco in particolare ai tuoi CD Awakening e Outlaw Tractor e il bel DVD con Vic Juris Live at the Smithsonian Jazz Café. Effettivamente tu dimostri di essere allo stesso tempo moderno e classico, ma sempre con forti radici nel blues. Pensi che il blues sia ancora un elemento essenziale del jazz? C’è una certa corrente di jazz d’avanguardia che sembra volerne prendere le distanze.
Amo molto il blues e trovo difficile separarmene. Secondo me rappresenta una larga parte del jazz che preferisco. Il jazz attraversa una quantità di differenti stili e prospettive: non posso dire cosa sia giusto e cosa no, so solo da dove vengo e come io sento le cose. Penso che il blues sia in un certo modo inevitabile nella musica che suono, ma ci sono un sacco di grandi musicisti che suonano musica improvvisata e che non hanno granché di blues nella loro. Amo la musica moderna e questo è probabilmente il mondo in cui vivo adesso, ma devo riconoscere il mio debito verso il blues. Amo il blues che ha avuto una larga parte della mia evoluzione. Io mi limito a mettere sul tavolo ciò che posso mettere e a cercare di fare la migliore musica possibile con l’abilità che ho e l’esperienza attraverso la quale sono passato.

Continuerai a collaborare con Vic o altri grandi musicisti?
Per il momento non ci sono in programma ulteriori collaborazioni con Vic, anche se ci siamo ripromessi di suonare di nuovo assieme. Vic è un grande, sia come persona, sia come musicista, ed è stato un mentore per me. Sono sempre molto felice quando posso collaborare con grandi musicisti. Ho l’opportunità di crescere sia come musicista che come persona grazie alle mie collaborazioni.

Tu vivi nello stato dello Utah, che non è abitualmente considerato un ‘posto jazz’: viaggi molto per insegnare e fare concerti?
Io vivo in uno dei più bei posti sul pianeta. Il Nord dello Utah è semplicemente stupendo. In effetti, non c’è molto jazz da queste parti, ma ci sono diversi buoni musicisti e io ho dei fantastici studenti alla Utah State University, dove insegno a tempo pieno. Insegno anche part time alla Indiana University, che dista grossomodo 1500 miglia dall’Utah, così devo prendere l’aereo ogni fine settimana. Prendo dei voli anche per andare a suonare con la mia band, ogni fine settimana in cui non insegno alla IU, cosicché sono parecchio in giro. In effetti sì, devo viaggiare parecchio per suonare la musica che amo, ma mi piace viaggiare e ho una moglie che mi sostiene molto e capisce quanto ciò sia necessario. In un certo modo, questo è positivo anche per la nostra relazione, quando viaggio è sempre solo per pochi giorni. Così, spesso scherzando, dico che vado via abbastanza a lungo perché mia moglie senta la mia mancanza, ma non abbastanza a lungo da permetterle di trovarsi un altro!

Mi sembra un buon approccio… e porti con te la tua chitarra? So che le compagnie aeree non sono sempre collaborative con l’esigenza dei musicisti di portare con sé i propri strumenti.
Mi limito ad usare un flight case molto robusto e porto la chitarra al check-in. Ho avuto qualche inconveniente, ma niente di serio. Tutte le mie chitarre sono assicurate, così se succede qualcosa ho la garanzia che vengano riparate o, nel peggiore dei casi, sostituite. Amo molto le mie chitarre e non vorrei mai che accadesse loro qualcosa, ma ho deciso che sarei stato molto più sereno negli aeroporti e di umore migliore, quando sono in giro senza la preoccupazione di dover portare sempre con me la mia chitarra in cabina, così sono ormai anni che la faccio mettere nella stiva.

Negli ultimi vent’anni i chitarristi jazz hanno cominciato ad impiegare sempre più spesso l’effettistica, chorus e tutto il resto. Ti piace questo approccio o preferisci suonare semplicemente con il suono ‘pulito’?
Amo molto gli effetti per chitarra. Per lo più utilizzo un buon riverbero, un leggero delay, qualche volta un po’ di distorsione, e devo ammettere che adoro il pedale wha-wha. Li uso comunque con moderazione, perché ho passato un sacco di tempo a sviluppare un buon suono pulito e non vorrei coprirlo. Gli effetti sono usati al meglio quando esaltano un suono, non quando lo coprono.

Effettivamente hai uno splendido suono pulito, che strumentazione adoperi?
Uso la mia Buscarino Signature [Corey Christiansen Model] con corde D’Addario .012-.056 round-wound. Utilizzo cavi Planet Waves, delay e riverbero, un Vox Wah e un TS9 Tube Screamer, o un Rat Deucetone. Ho alcuni amplificatori, ma i miei preferiti sono due Music Man degli anni ’70. Ciascuno ha due coni da 10”. Ho anche un eccellente Blues Junior con alcune modifiche che suona davvero bene: è un amplificatore davvero fantastico, considerato il prezzo. Ho anche un Acoustic Image Clarus 1R che mando ad una cassa Leonardo con un solo cono da 8”. Io sono solito suonare in stereo, così cerco sempre di usare due buoni amplificatori dal suono pulito.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai intenzione di registrare ancora con il tuo organ trio? Verrai in Italia per concerti o workshop?
Mi piacerebbe molto venire in Italia per tenere dei concerti e dei workshop, lavoriamo perché ciò avvenga. In questo momento sto lavorando alla musica per la mia prossima incisione con chitarra, basso, batteria e tastiere (Rhodes e organo). È un progetto interessante, perché sto arrangiando per questo gruppo delle canzoni ‘da cowboy’. Dovrebbe essere un progetto divertente e interessante su cui lavorare, spero che esca all’inizio del 2013.

C’è qualcos’altro che vuoi dire ai nostri lettori? Vuoi ricordare il tuo sito web e il modo di contattarti per lezioni e concerti?
Sto per avviare un sito per dare lezioni online. Sarebbe una gran cosa per le tante persone che vivono lontano e che vogliono studiare i miei concetti e le mie idee musicali. Chi è interessato può consultare il mio sito web per maggiori dettagli e per sapere quando questo progetto sarà operativo. Il mio sito è www.coreychristiansen.com.

Domenico Lobuono


Chitarra Acustica, 7/2012, pp. 20-23Quello di Corey Christiansen è un nome ben noto agli appassionati e studiosi di chitarra jazz. Corey è, infatti, un conosciutissimo didatta autore di moltissimi testi di studio editi dalla Mel Bay, una delle case editrici di riferimento nel campo della musica (non solo jazz), per la quale dal 2000 al 2007 è stato caporedattore e guitar clinician. Corey ha al suo attivo ormai più di settanta pubblicazioni, tra metodi di studio e DVD didattici. Figlio d’arte – il padre Mike Christiansen è, a sua volta, uno storico didatta con incarico di Professor of Music and Director of Guitar Studies presso il Music Department della Utah State University – Corey ha seguito le orme paterne conseguendo dapprima un bachelor’s degree presso la Utah State University e poi, dopo aver studiato con il leggendario insegnante Jack Petersen, ha conseguito nel 1999 il master’s degree presso la University of South Florida, sostituendo l’anno dopo proprio il maestro Jack Petersen. Alla didattica, Corey affianca un’attività d’incisione e concertistica di tutto rispetto, che lo ha visto al fianco di artisti del calibro di Vic Juris, Jimmy Bruno John Pisano, Andy Summers, Dr. Lonnie Smith, Jack Wilkins, Randy Johnston, Frank Vignola e molti altri.

Corey, com’è cominciato il tuo interesse verso la chitarra jazz? Provieni da una famiglia di musicisti?
Ho cominciato suonando la chitarra jazz a scuola. Sono cresciuto in una famiglia di musicisti, a casa mio padre suonava sempre brani famosi per noi, così ho avuto modo di conoscere sin da piccolo i grandi chitarristi jazz come Wes Montgomery, Joe Pass, Pat Metheny, John Scofield e molti altri. A scuola ho fatto parte della jazz band sin da quando avevo circa dodici anni. Ho imparato a suonare i voicing nello stile di Freddie Green e mi sembra di ricordare che sapessi fare un assolo già da giovanissimo. In ogni caso, già quand’ero molto giovane suonavo anche blues e rock. Mio padre era anche amico di Johnny Smith [storico chitarrista degli anni ‘50 e ‘60, famoso per la sua padronanza dello stile chord melody – ndr] che era solito venire a casa nostra per qualche giorno durante l’estate. Ha tenuto anche dei concerti a casa nostra quando ero molto giovane, e ricordo che ero innamorato del suo suono. Era un uomo molto amabile e passava sempre del tempo con me, quando era a casa, parlandomi di chitarre e raccontandomi aneddoti del suo passato. Ho affrontato più seriamente la chitarra una volta divenuto adolescente, cominciando a focalizzarmi sulla chitarra jazz al college. Ho sempre avuto eccellenti insegnanti di chitarra come mio padre, Mike Christiansen e Jack Petersen. Ho avuto grandi riferimenti sia come esecutori che come insegnanti.

Tu sei molto conosciuto come insegnante, hai realizzato diversi testi di studio riguardanti la chitarra bebop e il jazz modern – ho i tuoi testi della serie Essential Jazz Lines e Bebop Blues e sono eccellenti. Guardando al lavoro svolto da maestri come Joe Diorio e Mick Goodrick, sembra che molto sia ormai stato detto in questo campo: pensi ci sia ancora qualcosa da dire, in particolare riguardo ad argomenti come l’armonia jazz o l’improvvisazione?
Una cosa che ho imparato lavorando alla Mel Bay come senior editor è che c’è sempre qualcos’altro da dire riguardo a qualunque argomento. Anche se un argomento è già stato trattato da qualcun altro, è utilissimo considerarlo da un nuovo punto di vista. Amo molto leggere i testi o andare a workshop in cui la gente parla di argomenti che mi sono familiari, perché mi consente di vederli in una nuova prospettiva. Approfondisco la mia conoscenza sull’argomento e mi aiuta anche a ravvivare un argomento che poteva sembrare un po’ usurato. C’è sempre spazio per vedere in una nuova prospettiva un vecchio argomento.

È difficile insegnare il jazz e la musica in generale? Ricordo che quand’ero giovane usavo molto i metodi Aebersold: quel modo di apprendere il jazz è ancora valido?
Non credo sia necessariamente difficile insegnare il jazz. È un linguaggio, e quindi deve essere insegnato come tale. La maniera migliore di imparare una lingua è conversare con le persone che la parlano. È la stessa cosa con la musica: impara alcune frasi da dire e poi salta dentro la conversazione e comincia ad apprendere nuove frasi, battute, domande e risposte… dopo un po’ sarai in grado di parlare fluentemente. I Play-A-Long della Aebersold sono decisamente fantastici. Li impiego stabilmente con i miei studenti e io stesso nella mia pratica quotidiana. Sono di grande supporto, perché utilizzandoli puoi sentire come si sviluppa il tuo linguaggio all’interno del contesto di un brano musicale. Li raccomando a tutti coloro con cui lavoro.

Nel tuo percorso di insegnamento, ti concentri prevalentemente su un argomento – scale, tecnica del targeting ecc. – o preferisci coprire l’intero campo degli approcci improvvisativi, lasciando che sia lo studente a trovare la sua personale via verso l’improvvisazione?

Le mie lezioni generalmente riguardano l’improvvisazione, solitamente una singola tecnica o un singolo concetto alla volta, il comping [le tecniche di accompagnamento – ndr] e la chitarra solista, oppure anche lo studio di un arrangiamento particolare di un grande artista o lo studio di come arrangiare un brano. Questo mantiene interessanti gli argomenti e consente allo studente di focalizzarsi su un determinato concetti, avendo al contempo varie cose su cui esercitarsi. Per un chitarrista è importante esercitarsi sulle tecniche di comping altrettanto, se non più, che sulle tecniche soliste. In fin dei conti, la maggior parte del tempo noi accompagniamo, per cui questo è il terreno sul quale dobbiamo focalizzarci. Desidero che i miei studenti diventino chitarristi completi, senza lacune. Sembra funzionare e devo dire che nelle scuole in cui insegno ci sono alcuni studenti veramente eccellenti.

Oggi ci sono negli Stati Uniti molte scuole di jazz: voi insegnanti vi tenete in contatto tra voi? So che ci sono anche dei convegni come la Jazz Education Network Conference. Di cosa parlate in questi convegni?
Passo molto tempo a discutere con gli altri insegnanti e musicisti in giro per il mondo. Solitamente parliamo degli studenti, dei loro punti di forza, delle loro carenze e di cosa facciamo per aiutarli ad apprendere la musica nel migliore modo possibile. Ho molti amici in questo settore e queste convention sono realmente una grande occasione per capire e captare ciò che gli altri stanno facendo nei loro corsi, in giro per il mondo, come stanno sviluppando la loro arte e… anche per sapere come stanno le rispettive famglie! Cerchiamo anche di approfittare per dedicarci alla buona tavola… probabilmente la parte più importante, giusto?

Più che giusto direi… Veniamo al lato artistico della tua attività. Dagli anni ‘60 in poi possiamo dire che nella chitarra jazz vi sono due principali filoni, i cui caposcuola sono Jim Hall e Wes Montgomery. A quale dei due senti di appartenere?
Entrambi mi hannno influenzato, ma non posso dire quale dei due in maniera maggiore. Jim Hall è riconosciuto come il padre della chitarra jazz moderna. Amo molto la maniera in cui suona, così ‘compositiva’. Il suo approccio è economico, molto elegante e, da un punto di vista armonico, è complesso e audace. Wes, dal canto suo, era in grado di creare linee melodiche nuove e interessanti senza fine. La sua tecnica era affascinante, le sue melodie meravigliose. Ho passato un sacco di tempo a studiare entrambi e non posso dire chi sia il mio preferito, li adoro entrambi.

 Ma in definitiva quali sono gli artisti che ti hanno influenzato di più?
Non è facile rispondere. Ho sempre affermato che avrei voluto suonare come un mix di Wes Montgomery, Grant Green, Jim Hall, John Coltrane, Miles Davis, Jimi Hendrix, Jeff Beck e John Lee Hooker. Ritengo che queste siano le personalità che mi hanno maggiormente influenzato. Ovviamente sono un convinto fan di Metheny, Scofield, Frisell e Abercrombie, e non posso dimenticare la loro musica e l’effetto che ha avuto su di me. Amo la buona musica di qualsiasi genere e cerco di far sì che la mia musica sia un riflesso di tutto quello che ho ascoltato durante la mia vita, indipendentemente dallo stile specifico.

Ho avuto l’opportunità di ascoltare con attenzione la tua musica, mi riferisco in particolare ai tuoi CD Awakening e Outlaw Tractor e il bel DVD con Vic Juris Live at the Smithsonian Jazz Café. Effettivamente tu dimostri di essere allo stesso tempo moderno e classico, ma sempre con forti radici nel blues. Pensi che il blues sia ancora un elemento essenziale del jazz? C’è una certa corrente di jazz d’avanguardia che sembra volerne prendere le distanze.
Amo molto il blues e trovo difficile separarmene. Secondo me rappresenta una larga parte del jazz che preferisco. Il jazz attraversa una quantità di differenti stili e prospettive: non posso dire cosa sia giusto e cosa no, so solo da dove vengo e come io sento le cose. Penso che il blues sia in un certo modo inevitabile nella musica che suono, ma ci sono un sacco di grandi musicisti che suonano musica improvvisata e che non hanno granché di blues nella loro. Amo la musica moderna e questo è probabilmente il mondo in cui vivo adesso, ma devo riconoscere il mio debito verso il blues. Amo il blues che ha avuto una larga parte della mia evoluzione. Io mi limito a mettere sul tavolo ciò che posso mettere e a cercare di fare la migliore musica possibile con l’abilità che ho e l’esperienza attraverso la quale sono passato.

Continuerai a collaborare con Vic o altri grandi musicisti?
Per il momento non ci sono in programma ulteriori collaborazioni con Vic, anche se ci siamo ripromessi di suonare di nuovo assieme. Vic è un grande, sia come persona, sia come musicista, ed è stato un mentore per me. Sono sempre molto felice quando posso collaborare con grandi musicisti. Ho l’opportunità di crescere sia come musicista che come persona grazie alle mie collaborazioni.

Tu vivi nello stato dello Utah, che non è abitualmente considerato un ‘posto jazz’: viaggi molto per insegnare e fare concerti?
Io vivo in uno dei più bei posti sul pianeta. Il Nord dello Utah è semplicemente stupendo. In effetti, non c’è molto jazz da queste parti, ma ci sono diversi buoni musicisti e io ho dei fantastici studenti alla Utah State University, dove insegno a tempo pieno. Insegno anche part time alla Indiana University, che dista grossomodo 1500 miglia dall’Utah, così devo prendere l’aereo ogni fine settimana. Prendo dei voli anche per andare a suonare con la mia band, ogni fine settimana in cui non insegno alla IU, cosicché sono parecchio in giro. In effetti sì, devo viaggiare parecchio per suonare la musica che amo, ma mi piace viaggiare e ho una moglie che mi sostiene molto e capisce quanto ciò sia necessario. In un certo modo, questo è positivo anche per la nostra relazione, quando viaggio è sempre solo per pochi giorni. Così, spesso scherzando, dico che vado via abbastanza a lungo perché mia moglie senta la mia mancanza, ma non abbastanza a lungo da permetterle di trovarsi un altro!

Mi sembra un buon approccio… e porti con te la tua chitarra? So che le compagnie aeree non sono sempre collaborative con l’esigenza dei musicisti di portare con sé i propri strumenti.
Mi limito ad usare un flight case molto robusto e porto la chitarra al check-in. Ho avuto qualche inconveniente, ma niente di serio. Tutte le mie chitarre sono assicurate, così se succede qualcosa ho la garanzia che vengano riparate o, nel peggiore dei casi, sostituite. Amo molto le mie chitarre e non vorrei mai che accadesse loro qualcosa, ma ho deciso che sarei stato molto più sereno negli aeroporti e di umore migliore, quando sono in giro senza la preoccupazione di dover portare sempre con me la mia chitarra in cabina, così sono ormai anni che la faccio mettere nella stiva.

Negli ultimi vent’anni i chitarristi jazz hanno cominciato ad impiegare sempre più spesso l’effettistica, chorus e tutto il resto. Ti piace questo approccio o preferisci suonare semplicemente con il suono ‘pulito’?
Amo molto gli effetti per chitarra. Per lo più utilizzo un buon riverbero, un leggero delay, qualche volta un po’ di distorsione, e devo ammettere che adoro il pedale wha-wha. Li uso comunque con moderazione, perché ho passato un sacco di tempo a sviluppare un buon suono pulito e non vorrei coprirlo. Gli effetti sono usati al meglio quando esaltano un suono, non quando lo coprono.

Effettivamente hai uno splendido suono pulito, che strumentazione adoperi?
Uso la mia Buscarino Signature [Corey Christiansen Model] con corde D’Addario .012-.056 round-wound. Utilizzo cavi Planet Waves, delay e riverbero, un Vox Wah e un TS9 Tube Screamer, o un Rat Deucetone. Ho alcuni amplificatori, ma i miei preferiti sono due Music Man degli anni ’70. Ciascuno ha due coni da 10”. Ho anche un eccellente Blues Junior con alcune modifiche che suona davvero bene: è un amplificatore davvero fantastico, considerato il prezzo. Ho anche un Acoustic Image Clarus 1R che mando ad una cassa Leonardo con un solo cono da 8”. Io sono solito suonare in stereo, così cerco sempre di usare due buoni amplificatori dal suono pulito.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai intenzione di registrare ancora con il tuo organ trio? Verrai in Italia per concerti o workshop?
Mi piacerebbe molto venire in Italia per tenere dei concerti e dei workshop, lavoriamo perché ciò avvenga. In questo momento sto lavorando alla musica per la mia prossima incisione con chitarra, basso, batteria e tastiere (Rhodes e organo). È un progetto interessante, perché sto arrangiando per questo gruppo delle canzoni ‘da cowboy’. Dovrebbe essere un progetto divertente e interessante su cui lavorare, spero che esca all’inizio del 2013.

C’è qualcos’altro che vuoi dire ai nostri lettori? Vuoi ricordare il tuo sito web e il modo di contattarti per lezioni e concerti?
Sto per avviare un sito per dare lezioni online. Sarebbe una gran cosa per le tante persone che vivono lontano e che vogliono studiare i miei concetti e le mie idee musicali. Chi è interessato può consultare il mio sito web per maggiori dettagli e per sapere quando questo progetto sarà operativo. Il mio sito è www.coreychristiansen.com.

Domenico Lobuono


Chitarra Acustica, 7/2012, pp. 20-23

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