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Music China – Un grande mercato piuttosto che una fiera musicale

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Era da un po’ di tempo che ci pensavo, così quest’anno ho finalmente deciso e sono partito per visitare la più grande fiera musicale d’Oriente. Shanghai, Music China, dal 10 al 13 ottobre.
Prima fondamentale informazione: se siete preoccupati di aver dimenticato i pass per entrare in Fiera, o se ancora non avete fatto la vostra registrazione e avete paura delle lunghe file, o peggio, se avete sbagliato giorno e siete capitati nelle uniche due giornate dedicate al trade, in cui il pubblico non è ammesso, nessuna paura: all’uscita della metropolitana di Huamu Rd., alla fermata della linea 7 che porta al New International Expo Centre, troverete tutto ciò che vi serve. Qualsiasi tipo di pass (vero o falso che sia) viene venduto da organizzati bagarini. Per cui potrete accedere all’evento fieristico da espositore, artista, giornalista o ciò che meglio vi aggrada, senza nessun problema…
Benvenuti nel nuovo mondo dove tutto ‘suona’ possibile. La nuova America? L’eldorado? Certo che questa terra un po’ emoziona e un po’ fa paura. È tutto così grande e nulla sembra impossibile. Vicino al centro di Shanghai c’è un palazzo di tre piani dove puoi comprare gli abiti copiati alle maggiori griffe. Tessuti ottimi e modelli perfetti, il trucco? Sono praticamente gli stessi degli originali, perché tutti producono in Cina e quindi quello che vedi sembra una copia, ma di fatto è un originale con un nome diverso. E se non ti piacesse il colore o il tipo di bottone, se volessi un tessuto più pesante e magari con un tipo di collo diverso, nessun problema: paghi il 50%, torni il giorno dopo e trovi il nuovo modello fatto apposta per te.
Questo è quello che succede nel campo dell’abbigliamento, ma questa ‘efficienza’ la trovi in tutti i settori e – perché no? – anche nella musica e soprattutto nelle chitarre. I maggiori produttori di chitarre del mondo producono in Cina e, certe volte, più marchi famosi nella stessa fabbrica. Ecco perché trovare una copia identica della vostra chitarra preferita a prezzo stracciato è la cosa più facile che vi possa capitare.
Ma andiamo per ordine. Tutto è perfettamente organizzato, la preregistrazione mi permette di trovare il mio pass già pronto all’ingresso, quindi nessuna attesa o coda per l’autenticazione. Si arriva ed è subito fiera.
Varcato il cancello ci si trova immersi nella maestosità del luogo. Uno spazio centrale all’aperto, grande – credo – almeno quanto dieci campi di calcio, è la prima cosa che colpisce. Ci saranno montati quattro palchi per ‘grandi eventi’ e lo spazio è così grande, che spesso le esibizioni si sovrappongono ma i suoni no. Quindi è possibile avvicinarsi a un palco e apprezzare qualità e volume sonoro di un chitarrista acustico, osservando con la coda dell’occhio un altro palco in lontananza sul quale si dimena un emulo di Steve Vai. Questo grande spazio è circondato da padiglioni giganteschi che gli fanno da cornice. In tre giorni sono riuscito a visitarne dieci tralasciando volutamente tutti quelli dedicati agli strumenti elettrici. L’interno di ogni padiglione è imbottito di stand: non esistono i grandi stand tipici del Musikmesse o del NAMM, ma solitamente ci si trova in mezzo a un insieme di piccoli e medi stand pieni di ogni cosa possibile e immaginabile.
Per quanto riguarda le chitarre è un delirio. Non pensiate di trovare la Martin o la Taylor con i loro sontuosi e iperorganizzati spazi. Tanto per toglierci subito il problema, la Martin è ospitata insieme alla Sigma (guarda caso) nello stand del suo distributore asiatico. Niente di più che una parete con delle chitarre appese, difficilmente accessibili per via del fatto che lo spazio all’interno dello stand è pieno di pianole e di ragazzi che si divertono a provarle. La nostra mitica Martin, ragione spesso di pellegrinaggi nelle varie fiere del mondo, è nascosta nel suo angolo e si fa fatica a notarla.

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Mentre la Taylor, forse con un pizzico di ambizione in più, ha il suo spazio personale; ma niente a che vedere con la tipica esposizione che siamo abituati ad apprezzare in giro per il mondo. Cosa si nasconde dietro questa latitanza? Forse la comprensione di una difficoltà oggettiva nel proporre strumenti di un certo valore, in un mercato che è capace di produrre qualunque cosa a prezzi imbattibili.
Decine e decine di stand di produttori di chitarre, che mostrano tutti i loro gioielli e sanno benissimo cos’è una dreadnought o una OM o una triplo 0, conoscono alla perfezione misure e caratteristiche dei modelli più blasonati. Poi diciamolo chiaramente, questa non è la fiera per l’esposizione, dove si va per guardare e promuovere, questa è la fiera del business, dove si va per comprare e fare affari. Ritorniamo all’esempio del negozio di abbigliamento che ho fatto all’inizio: guardi, provi, decidi se ti va bene, altrimenti ordini le tue modifiche e il gioco è fatto. Ce n’è per tutti i gusti.
Ho voluto personalmente fare la prova. Arrivato in uno stand che esponeva delle chitarre bellissime, ho chiesto di provarne una: assetto del manico perfetto, action eccellente, suono interessante (per quanto si possa percepire in una fiera), estetica da liuteria. La dimensione del manico al nut era di 43 mm (loro hanno le mani piccole) e ho chiesto se potevo avere un 45 o 46 mm. Hanno chiamato immediatamente «L’Ingegnere» (un insignificante omino più vicino a un costruttore di cassapanche che a un liutaio) il quale ha confermato che la dimensione del nut non era un problema e che poteva sicuramente realizzare dei modelli con un manico diverso. Mi sono mostrato interessato e ho chiesto i prezzi per un campione: modello OM, versione economica, 48 euro; versione professional, 96 euro; versione legend, 110 euro. Le differenze tra i tre modelli erano chiaramente legate al tipo di legno e alle rifiniture. Certo, non penso che questo sia il paese di bengodi e che possiamo dimenticare le nostre Martin a favore di strumenti di questa qualità, che ha poco a che vedere con il prestigio di uno strumento curato e costruito con legni pregiati e invecchiati naturalmente… Però le chitarre che ho provato suonavano e il manico, nonostante fosse piccolo per la mia mano, risultava comodo, scorrevole e veloce. Rimango sconcertato anche perché il fornitore non mi presenta solo le sue ‘copie’, ma anche delle innovazioni tecniche con un nuovo sistema di catenature interne scalloped e delle soluzioni estetiche eleganti e innovative. Per cui, oltre a copiare, si inizia a fare ricerca. E ciò che viene proposto si impone come interessante e intrigante.
La curiosità si fa strada e, tra le centinaia di pezzi di legno comuni e già noti, trovo anche modelli particolari che presentano curiosità e novità apprezzabili: dei modelli di chitarra classica con la cassa sottile, o un nuovo modello di acustica a 11 corde prodotto dalla Famosa, che in quanto a fantasia e innovazione è sicuramente all’avanguardia.
Chissà cosa succederà nel prossimo futuro dei grandi marchi? Probabilmente, con un buon pickup, dal vivo non sarà possibile percepire la differenza tra le due diverse tipologie di strumento; ma vi assicuro che anche ‘in acustico’ si possono ascoltare delle cose eccellenti.

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Un po’ mi dispiaccio pensando ai miti della mia gioventù e alla mia collezione di chitarre. Poi penso alla crisi incombente e vedo in positivo la possibilità di avere tra le mani uno strumento di buona qualità e con un buon suono a un prezzo abbordabile. Non dimentichiamo che la leggendaria Ramirez ha da poco lanciato sul mercato il proprio modello ‘Sol’ che costa circa 400 euro, ed è pur sempre una Ramirez. Certo la domanda da farsi è se abbia senso una differenza così enorme tra uno strumento da 100 euro e uno da 5000. Per carità, capisco che per una chitarra di liuteria la differenza ci stia tutta, ma per delle chitarre prodotte in serie incomincio a mostrare qualche dubbio. Forse è colpa nostra che abbiamo dato troppo peso al marchio certe volte, sottovalutando l’aspetto qualitativo che può certamente essere trovato anche in strumenti di costo più modesto. È vero anche che probabilmente il costo della manodopera ha un suo peso significativo, ma se così fosse, e personalmente ho la certezza che così sia, il futuro del mondo produttivo è già segnato. Fra poco non si riuscirà a reggere il paragone comparativo e probabilmente il 99% degli strumenti verrà prodotto in Cina.
Lascio le riflessioni a ognuno di voi e proseguo il giro, giusto in tempo per ascoltare la fine di una performance di un chitarrista che suonava una Larrivée. Penso sia una casualità, invece ecco tra il pubblico Jean Larrivée e, sul palchetto, tre dei suoi pregiatissimi strumenti. Ne approfitto per fare due chiacchiere e per dargli appuntamento in Italia all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana.
Ascolto molti musicisti suonare nei vari spazi espositivi, ma niente di particolare, tutto approssimativo e poco interessante: manca quell’eleganza e quella qualità a cui le esposizioni ‘occidentali’ ci hanno ormai abituato, Tranne qualche fenomeno, come il baby chitarrista folgorato da Van Halen, o la bambina in tenuta hawaiana che balla al suono di un ukulele, scenete che sanno più di sagra paesana che di fiera internazionale, per il resto è tutto musicalmente molto noioso e insignificante. Rimango catturato per qualche istante dai Tierra Negra, duo con il quale si esibisce spesso Muriel Anderson: finalmente un po’ di musica ben fatta.
Rimbalzando da un stand all’altro finisco alla Recording King: sono innamorato dell’estetica di queste chitarre e il loro rapporto qualità/estetica/prezzo credo sia imbattibile. Ognuno ne dovrebbe possedere una. Parlo con Vesna Tomic, direttore vendite del brand, e le mostro il numero di ottobre di Chitarra Acustica, che contiene la prova di un loro modello. Lei, contenta, chiama subito il proprietario (il signor Recording King?) per mostrargli l’articolo. Mi chiedono di poter tenere il numero: sarei tentato di vendergli un abbonamento annuale, ma desisto vista la cordiale conversazione e regalo ben volentieri la mia copia.
Ho un appuntamento con Mark Mansour, quindi fuggo per non arrivare in ritardo. Mark è il responsabile della comunicazione della Maton. Ci siamo sentiti parecchie volte via email, ma non ci siamo mai conosciuti. Shanghai ci permette di incontrarci a metà strada, lui viene dall’Australia. Parliamo del nuovo pickup AFP5: sono proprio curioso di provarlo e lui promette di inviarmene uno appena torna in sede. Le sue chitarre sono esposte nello stand del distributore asiatico e, come novità, mi annuncia a breve l’uscita di tre nuovi modelli. Credo che ne parleremo nei prossimi numeri.
Il giro prosegue e il nuovo padiglione E3 si annuncia molto interessante. Ecco infatti da lontano la bandiera italiana: la nostra Italia si è creata il suo piccolo villaggio, uno spazio di gran classe, elegante e ben organizzato. Tanti violini (come è giusto che sia) e qualche chitarra (poche). Fa piacere incontrare volti noti di liutai intraprendenti e sopratutto coraggiosi: Paolo Coriani, che condivide il suo spazio con le corde Galli; il trio Fabio Bonardi, Davide Serracini e Lorenzo Lippi; e sopratutto Mimmo con le sue corde Aquila, che ormai non conoscono più confini. Sono orgoglioso di questa voglia italiana di farsi conoscere, di contrapporre alla produzione in serie un prodotto di qualità e di grande prestigio. Ciò conferma che forse solo la liuteria di un certo livello continua ad avere un senso all’interno di un mercato sempre più globale e seriale. Riscontro l’interesse del pubblico e osservo con attenzione le espressioni sul viso dei noi maestri liutai, felici di poter appoggiare sulle gambe di un chitarrista asiatico il frutto del loro lavoro, ricevendone particolare apprezzamento.
Certo che anche lo spazio della Spagna fa la sua bella figura in fatto di chitarre, con più presenze tra i liutai. Spero che questo serva a far riflettere sul fatto che tentare lo sbarco nel mercato ‘impossibile’ non sia poi così sbagliato; e mi auguro che il numero dei liutai italiani che fabbricano chitarre possa quindi essere il prossimo anno di gran lunga superiore.
Il panorama delle chitarre in mostra sembra non avere mai fine, facendo emergere una saturazione dovuta all’eccessiva offerta. Vieni invitato, tirato, trascinato in ogni stand a provare, discutere, suonare ogni sorta di modello, ricevendo offerte imperdibili e miracolose. Si ha la sensazione di potersi permettere ogni sorta di strumento e il prezzo diventa sempre più basso e più abbordabile, man mano che la fiera volge al termina.
Mi riposo al padiglione E5 dove sono esposti gli strumenti tradizionali cinesi. È bellissimo. Ecco, ora sì che vorrei comprare tutto. Strumenti dai suoni particolari, dalle atmosfere ipnotiche e dalle linee melodiche semplici ma accattivanti.
Tre giorni per visitare dieci padiglioni, tralasciando gli altrettanti destinati all’elettrica. Dribblando i vari posti di ristoro con in mostra generi di conforto dalla dubbia commestibilità, che invece sembravano particolarmente graditi al pubblico locale. Dividendomi tra un MacDonald e un improvvisato pizzaiolo. Il tempo così è scivolato via, lasciandomi il ricordo di un grande mercato piuttosto che di una fiera della musica. L’approccio è tipicamente trade, ovvero si va a cercare qualcosa da distribuire nel mondo, qualche novità che costi poco e possa essere proposta sul mercato occidentale. Manca quell’approccio ‘istituzionale’, quel piacere di sedersi e fare due chiacchiere con una Diane Ponzio, che esaltata ti racconta dei nuovi modelli della Martin. Ma quello è un altro film, un altro mondo.

Reno Brandoni

PUBBLICATO
Chitarra Acustica, 11/2013

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