(di Reno Brandoni) – Suonare la chitarra non è solo un esercizio delle mani, ma anche del corpo intero e della mente. La nostra personalità si fonde alla cadenza delle note, si mescola al ritmo delle corde, vibrazioni su vibrazioni, quelle loro (delle corde) e quelle della nostra anima. Noi diventiamo ‘chitarra’ e la chitarra diventa ‘noi’. Secondo questa teoria tutti i chitarristi dovrebbero assomigliarsi, o perlomeno presentare tratti comportamentali comuni. Spesso è vero, altre volte è così reale che puoi distinguere anche lo stile suonato. Può essere allora possibile identificare per ogni stile di chitarra uno stile di vita?
Si può prescindere dallo strumento? Lo si può utilizzare senza che esso influisca sulla nostra psiche? O ancora, è possibile che la nostra ‘essenza’ umana non caratterizzi la nostra musica? Negli anni ho conosciuto centinaia di chitarristi e quasi sempre ho trovato dei punti di ‘accordo’, semplici similitudini legate alla medesima passione o, di più, modalità di comportamento, fobie, deviazioni degne di psicoanalisi – come quella di annusare il profumo della chitarra appena aperta la custodia, sapete, quel bel profumo intenso di legno… mhmm, adorabile!
Mi sono posto il problema e, sempre con più attenzione, ho osservato colleghi chitarristi nella loro vita quotidiana per catturarne sfumature impercettibili. La realizzazione del Manuale della chitarra jazz manouche mi ha piacevolmente costretto a un contatto continuativo e duraturo con Maurizio Geri e la sua comitiva di audaci e virtuosi amici musicisti, Augusto Creni, Tolga During, Jacopo Martini, Dario Napoli. Proprio in quel gruppo e in quella musica ho intravisto chiara e ben evidente un’affinità stilistica e caratteriale. Da qui la domanda: stili di chitarra e stili di vita, esiste un nesso?
La domanda era così curiosamente intrigante che, quando Giorgio Cordini mi ha chiesto di suggerirgli un tema per il ‘dibattito’ della domenica mattina al suo Acoustic Franciacorta, non ho esitato a consigliargli questo argomento. L’occasione era ulteriormente stimolata anche dalla partecipazione di Fernando Perez, chitarrista spagnolo che ha vissuto parte della sua vita alla ricerca e allo studio dei diversi stili musicali nel mondo. La sua ricerca non si è limitata soltanto all’apprendimento di questo o quello stile musicale, ma Perez ha voluto vivere in ogni luogo come un normale ‘indigeno’, cercando di impararne e incamerarne anche le abitudini, gli stili di vita per l’appunto!
L’incontro si è svolto come sempre con una chiacchierata introduttiva e un po’ di timidezza, per poi svilupparsi nel consueto coinvolgente confronto di esperienze e idee. Fernando, simpaticamente, raccontava di com’era rimasto stupito dal verso dei colombi africani, ben diverso ‘nel ritmo’ da quello dei parenti spagnoli. Esempio buffo, forse stravagante, ma significativo dell’attenzione con cui un musicista affronta i suoi viaggi. Nessuna persona ‘normale’ si sognerebbe mai di analizzare il canto del colombo per percepirne andamenti ritmici diversi! Questa osservazione ha aperto i canali della comunicazione, permettendo a tutti di confrontarsi con una più spontanea verità imprevista, ma reale. Bocephus King si è confessato, spiegando che il suo approccio alla chitarra è nato in quanto strumento di adescamento… Quanti di noi, e quanti tra il pubblico dei presenti, si sono riconosciuti in questa taciuta millenaria verità?
Il tema a tratti sembrava latitare, e invece si andava costruendo nel suo sottile ma intenso significato. In qualche modo ognuno aveva trovato nella chitarra una ragione e uno stimolo, ispirato da un approccio stilistico diverso, in grado di modificare il proprio rapporto con lo strumento e la propria evoluzione stilistica. L’argomento stimola riflessioni, il presidente di fasolmusic.coop, Franco Pagnoni, ricorda che i fan dei Beatles e dei Rolling Stone potevano essere immediatamente identificati dal loro modo di vestirsi e comportarsi. Lo stesso Keith Richards ha inaugurato uno stile di vita basato sulla sua trasgressione e longevità, dimostrando la possibile inesistente correlazione negativa tra i due elementi.
Fernando raccontava dei chitarristi del Senegal, che suonano blues senza saperlo, ignari di essere i precursori di questo stile, senza ricordare o sapere che il blues lo hanno inventato proprio loro. Questa osservazione ha colpito un po’ tutti: in effetti è vero che la musica blues ha origini africane e che proprio in quel posto risiedono le sue radici. Storie e musiche, leggende che trascuriamo, attribuendo agli Stati Uniti l’importante ruolo di modello stilistico, mentre non rappresentano nient’altro che la raccolta di civiltà diverse fuse in un unico ambiente, che ha cambiato la vita di un intero pianeta.
Il dibattito prosegue cercando esempi e similitudini, ma approfondendo e comprendendo l’importanza della cultura e come questa non possa essere classificata, anche se interviene profondamente sulla musica generata.
Ecco che qualcuno tra i partecipanti alza la mano per porre una domanda: chiede se si può suonare per ‘mestiere’, al di fuori dell’ispirazione, e se studiando si può suonare ogni cosa, senza bisogno di un’origine ‘culturale’ che supporti la nostra musica. La risposta di Fernando è netta, precisa e spiazzante: fare il musicista è come fare il prete, devi avere la vocazione; gli studi servono solo per imparare tecniche e modalità, ma la vocazione non può mancare, altrimenti non sarai mai vero e credibile. Anche questo è uno ‘stile di vita’.
Molti si chiederanno a che serve tutto questo discorso, il perché di questo inutile tentativo di trovare una sinergia tra gli stili di chitarra e gli stili di vita. Forse la ragione è una sola: dare una risposta a questo fermento interiore, a questo ribollire del sangue che ci rende schiavi e tormentati; e che ci rende vittime di noi stessi, assuefatti e sottomessi quando la mattina, appena aperti gli occhi, il primo desiderio è di appoggiare le nostre dita sulla tastiera.
Cosa sarà mai?
Reno Brandoni