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«Success through Ignorance» Intervista a Jean Larrivée

La storia del liutaio canadese Jean Larrivée inizia, come altre storie di quegli anni, con un adolescente che si innamora della chitarra, inizia a studiare i lick del grande Duane Eddy – un mito assoluto della sei corde all’epoca, e non solo – e sembra arenarsi dopo i primi passi… A qualche anno di distanza si riavvicina allo strumento, questa volta sono gli studi classici che lo portano a conoscere il liutaio tedesco Edgar Mönch, colui che è stato il punto di svolta della vita del giovane Jean, in un modo che influenzerà la sua intera storia di progettista e costruttore di chitarre acustiche. Tutti gli sforzi profusi nello studio del repertorio classico vengono quindi indirizzati nella costruzione, e a quel punto la strada intrapresa non verrà più cambiata.
È vero che da un inizio legato a chitarre con corde in nylon si passa a quelle in acciaio, ma questo avviene dopo un paio d’anni e grazie al fatto che, dopo essersi spostato dal suo primo laboratorio casalingo a quello al secondo piano di un teatro, viene a contatto con molti musicisti della scena folk di Toronto. La prima acustica arrivò quindi nel 1971.

Il primo periodo è stato ovviamente di ricerca, il giovane Larrivée cercava la sua strada, ma questa ricerca lo ha portato lontano da casa: come lui stesso racconta nell’intervista che segue, la caratteristica forma del corpo “L”, una sorta di classica più grande, così diversa dalle tradizioni folk americane, è stata apprezzata in Europa ma non nel suo continente, luogo nel quale sono serviti diversi anni prima che il marchio fosse accettato definitivamente; ed è stato grazie alla produzione di strumenti dalla forma più tradizionale, almeno all’inizio.
Anche all’interno delle chitarre la sua mano è stata fondamentale: il bracing è stato da lui modificato seguendo alcuni insegnamenti ricevuti quando costruiva chitarre classiche. Una formula che spesso lui stesso definisce «success through ignorance», il ‘successo attraverso l’ignoranza’, per dire che ha utilizzato elementi che conosceva, ma in contesti diversi, e ha avuto successo. La modestia del personaggio è chiara anche da piccole cose come queste, ed è fondamentale per capirlo appieno.
Ancora oggi le catene all’interno delle sue creature sono disposte, più o meno, come allora: squadra vincente non si cambia. E a dimostrarlo, molti decenni dopo, sta il fatto che le Larrivée non incorrono in un difetto tipico di molte chitarre, anche molto prestigiose: il top dietro al ponte, dalla parte opposta alla buca, che si alza spesso a formare una piccola cunetta. Di solito non è un problema grave, ma spesso appare evidente. Alle Larrivée questo non succede.
Negli anni settanta la produzione è cresciuta in maniera importante, il luogo di lavoro è cambiato molte volte. Jean ha sposato Wendy, che ha poi creato gli splendidi intarsi così caratteristici sugli strumenti di fascia alta. Se nel 1976 otto persone producevano da 25 a 30 strumenti al mese, nel 1977, dopo aver finalmente acquistato uno spazio proprio per la prima volta, 14 impiegati producevano quattro chitarre al giorno, un bel salto.
Gli anni ottanta sono stati problematici per i costruttori di chitarre acustiche, vista la sempre maggiore importanza dell’elettronica nella musica del tempo. Jean ha quindi deciso di dare un senso al detto «se non puoi batterli, unisciti a loro», iniziando la produzione di chitarre elettriche, con un buon successo descritto da lui stesso a breve.
Con l’inizio degli anni novanta, però, l’attenzione per le acustiche è tornata a salire e il marchio Larrivée era già lì, pronto per la scalata, che è arrivata puntuale. L’esperienza acquisita nella costruzione di elettriche aveva anche portato una maggior quantità di tecnologia nell’altro settore, che ne ha beneficiato enormemente: la serie D-03, introdotta nel 1997, ha fatto capire al mercato che si poteva ottenere una chitarra tutta in legno massello a meno di 800 dollari. L’idea era di farne un numero limitato, ma il successo è stato tale che è diventato un modello standard, seguito a breve da altri.
Oggi nel catalogo ufficiale troviamo infatti praticamente ogni tipologia di strumento, dal più economico al più costoso, nelle tre forme L, D e OM, amplificate e non, il che offre una varietà di scelta davvero importante.
Gli ultimi cambiamenti sono stati in parte dovuti all’attacco alle Torri Gemelle del 2001, avvenuto appena dieci giorni dopo l’apertura dei nuovi stabilimenti nel sud della California, che ha fatto scendere la produzione da circa settanta chitarre al giorno ad appena trentacinque, una botta non indifferente. A quel punto la scelta è stata di focalizzare l’attenzione su modelli costosi – scelta difficile e all’apparenza contro mercato, che ancora una volta ha pagato – e sulla nuova serie Traditional.
Oggi Larrivée è un’azienda a conduzione familiare, nel senso che Jean e la moglie Wendy, con i figli Matthew, Christine e John, lavorano tutti in diversi settori dell’impresa, fornendo un esempio difficile da imitare, ma affascinante da seguire. Andiamo a sentire dalla sua viva voce una storia che abbiamo capito essere davvero interessante.

Ciao Jean, piacere di averti con noi, vogliamo iniziare… dagli inizi?
Certamente. Da ragazzo suonavo la chitarra, non da professionista, poi ho conosciuto un liutaio tedesco, Edgar Mönch, che mi ha suggerito di provare a imparare come costruire una chitarra classica. Ho appreso tutti i rudimenti da lui e da allora non ho più smesso.

Mentre i vari Martin o Gibson sono personaggi scomparsi da molto tempo, fa una certa impressione pensare di parlare con chi è comunque un costruttore di livello mondiale, ma ancora fra noi!
Ah, ah, ah, non l’avevo mai vista così, in effetti!

Quindi come sei passato alla chitarra acustica, quella che ti ha permesso di diventare ciò che sei oggi?
Ho incontrato il liutaio Eric Neglar, che mi ha introdotto al mondo delle corde in acciaio, mi ha spiegato alcune differenze sostanziali, aprendomi la strada che ancora oggi percorro.

Hai avuto problemi nel passaggio da una tipologia di strumento all’altra?
Solo all’inizio: le prime chitarre che ho costruito sono state dei test per capire cosa fare, poi pian piano ho messo insieme i vari elementi e ho trovato una mia strada.

Le Larrivée sono celebri innanzitutto per quella forma originale, la serie L che tanto ti sta a cuore: come ti è venuta l’idea?
Di base è la forma della chitarra classica da cui sono partito, solo più grande. L’incatenatura non è la tradizionale “X” che la maggior parte dei costruttori di acustiche utilizza, anche qui la lezione classica mi è stata di aiuto; ho apportato delle piccole modifiche costruttive, sempre perseguendo un’idea: le mie chitarre sono pensate per essere strumenti da fingerstyle, quindi cerco un equilibrio fra i vari elementi per andare in quella direzione. So di essere stato capace, ma anche fortunato: il mio primo tentativo mi segue da allora.

Hai ancora la prima chitarra che hai costruito?
Certamente, le prime le conservo gelosamente. Se vuoi ti mando delle foto, se siete interessati a vederle.

All’inizio hai avuto un grande mercato in Europa, gli USA faticavano ad accettarti, come mai?
La forma L è quella che mi ha frenato. In America si guarda con attenzione alle dreadnought e alle chitarre a cassa piccola tipo ‘triplo zero’, la mia era diversa e quindi vista con scetticismo. Ho dovuto faticare non poco ed ingegnarmi, per riuscire a penetrare un mercato così ostico.

Come hai fatto?
Di base, con un piccolo trucco: ho iniziato a produrre anche io D e OM, ma solo all’esterno cambiava la forma, l’interno è lo stesso dell’altra serie. Quindi, con il giusto equilibrio fra forma e catene, ho guadagnato credibilità anche negli USA. Sono però contento perchè oggi la mia serie più venduta negli Stati Uniti è proprio la mia L! Le altre continuo a farle, perché me le chiedono, fosse per me farei solo quella.

So che utilizzi macchinari che a volte hai contribuito a progettare.
Esatto. Considera che ho esperienza in meccanica, il che mi permette di affrontare i problemi in modo atipico. Che so, devo intagliare la rosetta di una chitarra e capisco che a mano il lavoro sarebbe molto faticoso, allora penso: «So che un attrezzo potrebbe servirmi per fare questo!» E lo costruisco.

Detto così sembra facile!
In effetti per me lo è, è quello che faccio: cercare di guadagnare tempo prezioso per dedicarmi ad altro.

Altro, come? Ancora metti le mani di persona sulle chitarre che produci?
Assolutamente sì. Il mio lavoro è fatto di molte cose, oggi partecipo a ogni fase realizzativa soprattutto degli strumenti più costosi. Nonostante adesso abbia molti dipendenti, il mio ufficio mi vede di rado, ci vado solo per schiacciare un pisolino o per cose davvero urgenti. Per il resto mi piace stare sul campo: sono spesso in giro per il mondo a cercare i legni migliori per costruire gli strumenti. Ora per esempio sono in Italia, ma non in vacanza, sto selezionando legni da acquistare in diverse regioni. Poi mi muoverò da qui in giro per l’Europa, ogni paese ha legni diversi. L’ingrediente è fondamentale, come in cucina. Mi vedo come un cuoco: se mi dai la materia migliore, cerco di metterla insieme nel miglior modo possibile e il mio lavoro produrrà risultati di maggior qualità.

Parliamo di legni: le restrizioni internazionali e il divieto di usare legni come il palissandro brasiliano ti hanno creato problemi, o costretto a cercare altre soluzioni?
Bella domanda. In effetti sì. Considera che, quando ho spostato la fabbrica dal Canada alla California, avevo un quantitativo molto consistente di palissandro brasiliano, che allora era legale, da spostare negli USA. Oggi non sarebbe più possibile. Per questo motivo siamo andati in cerca di soluzioni nuove. Ora per esempio stiamo usando un palissandro del Madagascar molto bello, con uno splendido disegno e che suona benissimo; ed è perfettamente legale. In Camerun abbiamo trovato una foresta con alberi bellissimi, morti da molti anni, da qualche decennio: il legno è in condizioni splendide ed è già stagionato!

Quindi non dovete farlo asciugare?
Lo facciamo comunque, per sicurezza, abbiamo una procedura standard. Ma è come se fosse un legno d’annata e ha una qualità incredibile.

Quali sono i legni che preferisci?
Se dovessi scegliere, andrei sull’abete sitka per il top, con fasce e fondo in palissandro: è la combinazione che mi dà maggior sicurezza di risultato, quella che a mio avviso suona meglio. Usiamo un abete dell’isola di Vancouver, che è il più bello e di qualità che abbia mai visto.

Avete un custom shop?
Strano che tu me lo chieda proprio ora, lo abbiamo aperto da appena sei mesi, riceviamo ordini per costruire strumenti particolari. Il mercato lo richiedeva e abbiamo pensato fosse il momento giusto per farlo.

Guardando il vostro catalogo si nota che non costruite chitarre economiche. Immaginiamo che la crisi si senta in ogni settore, come hai fronteggiato l’enorme quantità di prodotti che vengono da Oriente, alcuni di ottimo livello?
A differenza di molti concorrenti, non ci siamo spinti in quel mercato, ci abbiamo rinunciato da subito: la perdita di qualità sarebbe un rischio troppo grande. Abbiamo preso una strada diversa, abbiamo differenziato la produzione.

In che modo?
Anzitutto iniziando la costruzione di mandolini: è un lavoro enorme, ma ci stiamo dedicando molte energie; mi piace moltissimo farlo e sto avendo grandi soddisfazioni. Poi ho intensificato la produzione di chitarre elettriche. Negli anni ottanta, quando l’acustica ha vissuto un momento difficile, ho iniziato a costruire elettriche: ci ho messo un po’ a imparare, ma adesso ho in mano un mestiere che altri non hanno; e se provano a farlo copiano questo o quell’altro modello. Io ormai ho capito cosa mi serve e cosa mi piace, è un grande vantaggio. Sono stato fortunato perché in quegli anni ho avuto degli endorser d’eccezione: Bryan Adams usava Larrivée; gli Europe del chitarrista Kee Marcello usavano le mie chitarre, bassi inclusi; poi i Roxette e molti altri gruppi. Tutti sono stati dei testimonial molto importanti per far crescere la popolarità del marchio: siamo arrivati a produrre anche 14.000 strumenti l’anno.

Oggi si va spesso sul palco con l’acustica amplificata: voi utilizzate sistemi particolari? Presti attenzione a quello che monti sui tuoi strumenti e partecipi alla realizzazione del sistema?
Negli anni abbiamo utilizzato Fishman e B-Band, tutti ottimi prodotti. Di recente ho collaborato con Lloyd Baggs, vive in California piuttosto vicino a dove siamo noi. Il sistema che usiamo oggi lo abbiamo studiato insieme e sono davvero soddisfatto del risultato, è una delle cose migliori che abbia sentito, è il microfono a contatto che si chiama Anthem.

Di certo non immaginavi, quando hai iniziato, che saresti arrivato dove sei oggi: che consiglio dai a chi si avvicina a questa professione?
Sempre il solito: fate le cose con passione e portate avanti le idee in cui credete, è l’unico modo che conosco!

Grazie mille per la chiacchierata, sei stato gentilissimo, come al solito.
Piacere mio, un saluto ai lettori di Chitarra Acustica.


Chitarra Acustica, 5/2012, pp. 34-37La storia del liutaio canadese Jean Larrivée inizia, come altre storie di quegli anni, con un adolescente che si innamora della chitarra, inizia a studiare i lick del grande Duane Eddy – un mito assoluto della sei corde all’epoca, e non solo – e sembra arenarsi dopo i primi passi… A qualche anno di distanza si riavvicina allo strumento, questa volta sono gli studi classici che lo portano a conoscere il liutaio tedesco Edgar Mönch, colui che è stato il punto di svolta della vita del giovane Jean, in un modo che influenzerà la sua intera storia di progettista e costruttore di chitarre acustiche. Tutti gli sforzi profusi nello studio del repertorio classico vengono quindi indirizzati nella costruzione, e a quel punto la strada intrapresa non verrà più cambiata.
È vero che da un inizio legato a chitarre con corde in nylon si passa a quelle in acciaio, ma questo avviene dopo un paio d’anni e grazie al fatto che, dopo essersi spostato dal suo primo laboratorio casalingo a quello al secondo piano di un teatro, viene a contatto con molti musicisti della scena folk di Toronto. La prima acustica arrivò quindi nel 1971.

Il primo periodo è stato ovviamente di ricerca, il giovane Larrivée cercava la sua strada, ma questa ricerca lo ha portato lontano da casa: come lui stesso racconta nell’intervista che segue, la caratteristica forma del corpo “L”, una sorta di classica più grande, così diversa dalle tradizioni folk americane, è stata apprezzata in Europa ma non nel suo continente, luogo nel quale sono serviti diversi anni prima che il marchio fosse accettato definitivamente; ed è stato grazie alla produzione di strumenti dalla forma più tradizionale, almeno all’inizio.
Anche all’interno delle chitarre la sua mano è stata fondamentale: il bracing è stato da lui modificato seguendo alcuni insegnamenti ricevuti quando costruiva chitarre classiche. Una formula che spesso lui stesso definisce «success through ignorance», il ‘successo attraverso l’ignoranza’, per dire che ha utilizzato elementi che conosceva, ma in contesti diversi, e ha avuto successo. La modestia del personaggio è chiara anche da piccole cose come queste, ed è fondamentale per capirlo appieno.
Ancora oggi le catene all’interno delle sue creature sono disposte, più o meno, come allora: squadra vincente non si cambia. E a dimostrarlo, molti decenni dopo, sta il fatto che le Larrivée non incorrono in un difetto tipico di molte chitarre, anche molto prestigiose: il top dietro al ponte, dalla parte opposta alla buca, che si alza spesso a formare una piccola cunetta. Di solito non è un problema grave, ma spesso appare evidente. Alle Larrivée questo non succede.
Negli anni settanta la produzione è cresciuta in maniera importante, il luogo di lavoro è cambiato molte volte. Jean ha sposato Wendy, che ha poi creato gli splendidi intarsi così caratteristici sugli strumenti di fascia alta. Se nel 1976 otto persone producevano da 25 a 30 strumenti al mese, nel 1977, dopo aver finalmente acquistato uno spazio proprio per la prima volta, 14 impiegati producevano quattro chitarre al giorno, un bel salto.
Gli anni ottanta sono stati problematici per i costruttori di chitarre acustiche, vista la sempre maggiore importanza dell’elettronica nella musica del tempo. Jean ha quindi deciso di dare un senso al detto «se non puoi batterli, unisciti a loro», iniziando la produzione di chitarre elettriche, con un buon successo descritto da lui stesso a breve.
Con l’inizio degli anni novanta, però, l’attenzione per le acustiche è tornata a salire e il marchio Larrivée era già lì, pronto per la scalata, che è arrivata puntuale. L’esperienza acquisita nella costruzione di elettriche aveva anche portato una maggior quantità di tecnologia nell’altro settore, che ne ha beneficiato enormemente: la serie D-03, introdotta nel 1997, ha fatto capire al mercato che si poteva ottenere una chitarra tutta in legno massello a meno di 800 dollari. L’idea era di farne un numero limitato, ma il successo è stato tale che è diventato un modello standard, seguito a breve da altri.
Oggi nel catalogo ufficiale troviamo infatti praticamente ogni tipologia di strumento, dal più economico al più costoso, nelle tre forme L, D e OM, amplificate e non, il che offre una varietà di scelta davvero importante.
Gli ultimi cambiamenti sono stati in parte dovuti all’attacco alle Torri Gemelle del 2001, avvenuto appena dieci giorni dopo l’apertura dei nuovi stabilimenti nel sud della California, che ha fatto scendere la produzione da circa settanta chitarre al giorno ad appena trentacinque, una botta non indifferente. A quel punto la scelta è stata di focalizzare l’attenzione su modelli costosi – scelta difficile e all’apparenza contro mercato, che ancora una volta ha pagato – e sulla nuova serie Traditional.
Oggi Larrivée è un’azienda a conduzione familiare, nel senso che Jean e la moglie Wendy, con i figli Matthew, Christine e John, lavorano tutti in diversi settori dell’impresa, fornendo un esempio difficile da imitare, ma affascinante da seguire. Andiamo a sentire dalla sua viva voce una storia che abbiamo capito essere davvero interessante.

Ciao Jean, piacere di averti con noi, vogliamo iniziare… dagli inizi?
Certamente. Da ragazzo suonavo la chitarra, non da professionista, poi ho conosciuto un liutaio tedesco, Edgar Mönch, che mi ha suggerito di provare a imparare come costruire una chitarra classica. Ho appreso tutti i rudimenti da lui e da allora non ho più smesso.

Mentre i vari Martin o Gibson sono personaggi scomparsi da molto tempo, fa una certa impressione pensare di parlare con chi è comunque un costruttore di livello mondiale, ma ancora fra noi!
Ah, ah, ah, non l’avevo mai vista così, in effetti!

Quindi come sei passato alla chitarra acustica, quella che ti ha permesso di diventare ciò che sei oggi?
Ho incontrato il liutaio Eric Neglar, che mi ha introdotto al mondo delle corde in acciaio, mi ha spiegato alcune differenze sostanziali, aprendomi la strada che ancora oggi percorro.

Hai avuto problemi nel passaggio da una tipologia di strumento all’altra?
Solo all’inizio: le prime chitarre che ho costruito sono state dei test per capire cosa fare, poi pian piano ho messo insieme i vari elementi e ho trovato una mia strada.

Le Larrivée sono celebri innanzitutto per quella forma originale, la serie L che tanto ti sta a cuore: come ti è venuta l’idea?
Di base è la forma della chitarra classica da cui sono partito, solo più grande. L’incatenatura non è la tradizionale “X” che la maggior parte dei costruttori di acustiche utilizza, anche qui la lezione classica mi è stata di aiuto; ho apportato delle piccole modifiche costruttive, sempre perseguendo un’idea: le mie chitarre sono pensate per essere strumenti da fingerstyle, quindi cerco un equilibrio fra i vari elementi per andare in quella direzione. So di essere stato capace, ma anche fortunato: il mio primo tentativo mi segue da allora.

Hai ancora la prima chitarra che hai costruito?
Certamente, le prime le conservo gelosamente. Se vuoi ti mando delle foto, se siete interessati a vederle.

All’inizio hai avuto un grande mercato in Europa, gli USA faticavano ad accettarti, come mai?
La forma L è quella che mi ha frenato. In America si guarda con attenzione alle dreadnought e alle chitarre a cassa piccola tipo ‘triplo zero’, la mia era diversa e quindi vista con scetticismo. Ho dovuto faticare non poco ed ingegnarmi, per riuscire a penetrare un mercato così ostico.

Come hai fatto?
Di base, con un piccolo trucco: ho iniziato a produrre anche io D e OM, ma solo all’esterno cambiava la forma, l’interno è lo stesso dell’altra serie. Quindi, con il giusto equilibrio fra forma e catene, ho guadagnato credibilità anche negli USA. Sono però contento perchè oggi la mia serie più venduta negli Stati Uniti è proprio la mia L! Le altre continuo a farle, perché me le chiedono, fosse per me farei solo quella.

So che utilizzi macchinari che a volte hai contribuito a progettare.
Esatto. Considera che ho esperienza in meccanica, il che mi permette di affrontare i problemi in modo atipico. Che so, devo intagliare la rosetta di una chitarra e capisco che a mano il lavoro sarebbe molto faticoso, allora penso: «So che un attrezzo potrebbe servirmi per fare questo!» E lo costruisco.

Detto così sembra facile!
In effetti per me lo è, è quello che faccio: cercare di guadagnare tempo prezioso per dedicarmi ad altro.

Altro, come? Ancora metti le mani di persona sulle chitarre che produci?
Assolutamente sì. Il mio lavoro è fatto di molte cose, oggi partecipo a ogni fase realizzativa soprattutto degli strumenti più costosi. Nonostante adesso abbia molti dipendenti, il mio ufficio mi vede di rado, ci vado solo per schiacciare un pisolino o per cose davvero urgenti. Per il resto mi piace stare sul campo: sono spesso in giro per il mondo a cercare i legni migliori per costruire gli strumenti. Ora per esempio sono in Italia, ma non in vacanza, sto selezionando legni da acquistare in diverse regioni. Poi mi muoverò da qui in giro per l’Europa, ogni paese ha legni diversi. L’ingrediente è fondamentale, come in cucina. Mi vedo come un cuoco: se mi dai la materia migliore, cerco di metterla insieme nel miglior modo possibile e il mio lavoro produrrà risultati di maggior qualità.

Parliamo di legni: le restrizioni internazionali e il divieto di usare legni come il palissandro brasiliano ti hanno creato problemi, o costretto a cercare altre soluzioni?
Bella domanda. In effetti sì. Considera che, quando ho spostato la fabbrica dal Canada alla California, avevo un quantitativo molto consistente di palissandro brasiliano, che allora era legale, da spostare negli USA. Oggi non sarebbe più possibile. Per questo motivo siamo andati in cerca di soluzioni nuove. Ora per esempio stiamo usando un palissandro del Madagascar molto bello, con uno splendido disegno e che suona benissimo; ed è perfettamente legale. In Camerun abbiamo trovato una foresta con alberi bellissimi, morti da molti anni, da qualche decennio: il legno è in condizioni splendide ed è già stagionato!

Quindi non dovete farlo asciugare?
Lo facciamo comunque, per sicurezza, abbiamo una procedura standard. Ma è come se fosse un legno d’annata e ha una qualità incredibile.

Quali sono i legni che preferisci?
Se dovessi scegliere, andrei sull’abete sitka per il top, con fasce e fondo in palissandro: è la combinazione che mi dà maggior sicurezza di risultato, quella che a mio avviso suona meglio. Usiamo un abete dell’isola di Vancouver, che è il più bello e di qualità che abbia mai visto.

Avete un custom shop?
Strano che tu me lo chieda proprio ora, lo abbiamo aperto da appena sei mesi, riceviamo ordini per costruire strumenti particolari. Il mercato lo richiedeva e abbiamo pensato fosse il momento giusto per farlo.

Guardando il vostro catalogo si nota che non costruite chitarre economiche. Immaginiamo che la crisi si senta in ogni settore, come hai fronteggiato l’enorme quantità di prodotti che vengono da Oriente, alcuni di ottimo livello?
A differenza di molti concorrenti, non ci siamo spinti in quel mercato, ci abbiamo rinunciato da subito: la perdita di qualità sarebbe un rischio troppo grande. Abbiamo preso una strada diversa, abbiamo differenziato la produzione.

In che modo?
Anzitutto iniziando la costruzione di mandolini: è un lavoro enorme, ma ci stiamo dedicando molte energie; mi piace moltissimo farlo e sto avendo grandi soddisfazioni. Poi ho intensificato la produzione di chitarre elettriche. Negli anni ottanta, quando l’acustica ha vissuto un momento difficile, ho iniziato a costruire elettriche: ci ho messo un po’ a imparare, ma adesso ho in mano un mestiere che altri non hanno; e se provano a farlo copiano questo o quell’altro modello. Io ormai ho capito cosa mi serve e cosa mi piace, è un grande vantaggio. Sono stato fortunato perché in quegli anni ho avuto degli endorser d’eccezione: Bryan Adams usava Larrivée; gli Europe del chitarrista Kee Marcello usavano le mie chitarre, bassi inclusi; poi i Roxette e molti altri gruppi. Tutti sono stati dei testimonial molto importanti per far crescere la popolarità del marchio: siamo arrivati a produrre anche 14.000 strumenti l’anno.

Oggi si va spesso sul palco con l’acustica amplificata: voi utilizzate sistemi particolari? Presti attenzione a quello che monti sui tuoi strumenti e partecipi alla realizzazione del sistema?
Negli anni abbiamo utilizzato Fishman e B-Band, tutti ottimi prodotti. Di recente ho collaborato con Lloyd Baggs, vive in California piuttosto vicino a dove siamo noi. Il sistema che usiamo oggi lo abbiamo studiato insieme e sono davvero soddisfatto del risultato, è una delle cose migliori che abbia sentito, è il microfono a contatto che si chiama Anthem.

Di certo non immaginavi, quando hai iniziato, che saresti arrivato dove sei oggi: che consiglio dai a chi si avvicina a questa professione?
Sempre il solito: fate le cose con passione e portate avanti le idee in cui credete, è l’unico modo che conosco!

Grazie mille per la chiacchierata, sei stato gentilissimo, come al solito.
Piacere mio, un saluto ai lettori di Chitarra Acustica.


Chitarra Acustica, 5/2012, pp. 34-37

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