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Una chitarra… russa

TotaleMi piace girare per mercatini e fiere dell’antiquariato. Con il miraggio, mai realizzato, di trovare un pezzo pregiato ‘dimenticato’ a un prezzo ridicolo. Però qualche chitarra, ogni tanto, la compro. Per cifre simboliche e il piacere di restituire a dignità di strumento oggetti altrimenti destinati a una fine ingloriosa. Qualche settimana fa, in uno di questi giri di esplorazione, mi sono imbattuto in qualcosa di davvero particolare. Di primo acchito sembrava la classica Eko ‘da barbiere’, come vengono definite le produzioni di massa degli anni sessanta – ne abbiamo avuta una tutti in giro per casa, penso. Poi, osservando con un po’ più di attenzione (la mattina presto non brillo per acume), mi sono reso conto che c’era qualcosa di singolare, che non quadrava: sette corde.

Il cartiglio interno in caratteri cirillici, inutile dirlo, mi ha stuzzicato parecchio. Anche un timbro sbiadito con un «1899» quasi illeggibile, ha fatto la sua parte. Per una cifra che non ha superato l’equivalente di due pacchetti di sigarette, alla fine me la sono portata a casa.
Questa la traduzione del cartiglio (grazie Val e grazie Dima):

«Federazione Russa MMP Impresa “Rosmuzprom” Fabbrica di strumenti musicali di Kungur città di Kungur, Via Matroskaia, 13 Chitarra Articolo C1»

CartiglioLa cassa, in betulla, sembra uscita direttamente dagli stabilimenti di Recanati. È assolutamente identica alle Eko di cui si parlava prima. Il manico è avvitato, ma sull’incastro del tacco con un unico perno. La tastiera, quindi, rimane sospesa sul corpo come nelle archtop. La costruzione è evidentemente molto economica: materiali pessimi, tastiera non riportata sul manico, verniciatura approssimativa. Il ponte è stato scollato e riattaccato in maniera sconsiderata, avanzandolo di qualche millimetro e leggermente storto.

Meccaniche

Le meccaniche, sempre molto economiche, sono comunque il dettaglio più pregiato dello strumento, con la loro palettina nera. Funzionano ancora tutte.

Dopo una bella pulizia approfondita, ho smontato il manico che ballava in sede. Ho scoperto che la vite era ancorata a un controdado fissato in uno scasso nel legno della zocchetta. Che negli anni si era spanato. Ho sostituito la vite, ho cambiato il dato con uno autofilettante, in modo che facesse presa meglio. Con l’occasione ho inserito anche uno spessore tra cassa e manico in modo che si riallineasse con la tavola armonica. Il manico è dritto, ma lo scasso, ormai “provato”, lo portava fuori asse. In questo modo è tornato in quadro.

Rimontando le corde mi sono reso conto di quando fosse fuori fase il ponte: oltre ad avere l’intonazione di un sitar, è proprio posizionato storto. Sarà il prossimo passo: sotto i pallini bianchi si nascondono due viti che non dovrebbe essere difficile rimuovere, per poi scollare e ripristinare la posizione originale.

 

Corpo_manico_10

Pur scontrandomi con evidenti barriere linguistiche, mi sono documentato un po’ in rete: la chitarra russa tradizionale ha proprio sette corde e viene accordata in Sol aperto (DGBDGBD). Esiste una corposa letteratura in proposito (anche il mio illustre concittadino Angelo Gilardino ha composto una suite per questo strumento) e, esattamente come accaduto in Occidente, è nata con le corde in nylon per poi ‘degenerare’ con le steel-string. L’esemplare in questione, probabilmente, è stato realizzato a metà degli anni sessanta con la stessa filosofia che animava i produttori di casa nostra: strumento economico (in vendita per dodici rubli), utilizzabile sia con le corde in nylon che di metallo.

Come suona? Al momento ‘stonata’ visto che la regolazione delle ottave è andata a farsi benedire. Ma con la sua accordatura particolare, una volta superato lo smarrimento per il manico un po’ affollato, ha il suo perché. Non male nell’insieme, visto il tipo di strumento anche oltre ogni aspettativa. In standard diventa più familiare, ma perde quel sapore di originalità che gli dona carattere.

Attacco-manico

 

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