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Acoustic Night 15 – Italian Americans

(di Andrea Carpi / foto di Michael Schlüter e Sergio Farinelli) – In questa quindicesima edizione dell’Acoustic Night, che si è tenuta per quattro sere a Genova all’inizio di maggio, Beppe Gambetta, coadiuvato come di consueto dalla moglie Federica Calvino Prina per la parte del coordinamento e della produzione, ha ripreso il filo delle sue ricerche sulle rotte dell’immigrazione tra l’Italia e l’America, iniziate in dischi come Serenata con Carlo Aonzo del 1997 e Traversata con Aonzo e David Grisman del 2001.

Vezner, Mattea, Gambetta, Vignola, Raniolo - foto di Michael Schlüter
Vezner, Mattea, Gambetta, Vignola, Raniolo – foto di Michael Schlüter

Piuttosto che incentrare l’attenzione sui protagonisti del passato, però, l’Acoustic Night è stata un’occasione per puntare i riflettori su alcuni Italian Americans operanti nel presente. Scrivono Beppe e Federica nella presentazione dello spettacolo: «Il contributo artistico dato dagli emigranti italiani e dai loro discendenti alla cultura delle Americhe è un patrimonio che riserva scoperte e sorprese inaspettate, e che forse non è mai stato ricercato e studiato abbastanza. Approfondendo questo tema, si scopre una moltitudine di artisti che nell’arco di più di un secolo si sono espressi in campi diversi e il cui impatto è rilevante quanto quello delle grandi star riconosciute, come Frank Sinatra, Liza Minnelli o Bon Jovi, che alla fine sembrano solo essere la punta di un gigantesco iceberg. Il successo di tanti artisti italoamericani prova quanto ‘l’italianità’ sia un patrimonio di talenti che riesce a esprimersi e ad affermarsi pienamente soprattutto quando è inserito in un tessuto sociale e culturale che li sa valorizzare. E questa riflessione si ricollega naturalmente all’eterno dilemma dei ‘cervelli’ italiani in fuga».
La scelta degli artisti protagonisti delle serate genovesi ha messo opportunamente in luce due bacini d’immigrazione molto diversi e altrettanto significativi. Da una parte la Costa Orientale settentrionale, che comprende la Nuova Inghilterra, terra dei primi insediamenti dal Vecchio Mondo, e che ha dato vita a un’immigrazione prevalentemente urbana. In questa regione, a cavallo tra l’800 e il ’900, si sono sviluppate le prime forme di concentrazione industriale che hanno caratterizzato la nascita del cosiddetto capitalismo monopolistico, e di conseguenza della moderna industria culturale e della cultura di massa. A New York si è realizzata la maggiore concentrazione di grandi teatri per il musical, nella Broadway Avenue, e di editori musicali, nella cosiddetta Tin Pan Alley. A Camden, circa 97 miglia a sud di New York, è stata fondata la Victor, la prima grande casa discografica. Qui, insomma, è cresciuto il mainstream, la ‘corrente principale’ della moderna popular music.

Raniolo, Vignola, Gambetta, Mattea - foto di Sergio Farinelli
Raniolo, Vignola, Gambetta, Mattea – foto di Sergio Farinelli

L’altro bacino di immigrazione è invece l’Appalachia, comprendente i territori dell’interno che si sviluppano verso sud, dove si sono indirizzate le prime immigrazioni di coloni. Questa terra è la culla della musica country old-time, da cui si è sviluppata successivamente la country music urbanizzata e commercializzata di Nashville.
Frank Vignola e Vinny Raniolo, i due chitarristi prevalentemente di jazz e swing invitati all’Acoustic Night, sono entrambi nativi di New York. I bisnonni di Raniolo, il più giovane dei due, sono arrivati nella metropoli americana agli inizi del ’900. I nonni di Vignola, nato nel 1965, si sono invece stabiliti a Brooklyn negli anni ’30. Vignola è un grande virtuoso della chitarra, che vanta collaborazioni stellari da Wynton Marsalis a Les Paul fino a Tommy Emmanuel, e grandi esperienze nel campo della musica pop da Ringo Starr a Madonna. Raniolo, che ha seguìto un percorso musicale simile a quello di Vignola vent’anni dopo, ha a sua volta collaborato con Leon Redbone, Vince Giordano, la figlia di Dean Martin, Deana Martin, e il chitarrista di gipsy jazz Olli Soikkeli. Frank e Vinny sono i degni eredi della grande scuola di jazzisti italoamericani della Costa Orientale, iniziata con Eddie Lang e proseguita negli anni fino a Joe Pass e Bucky Pizzarelli. Da quattro-cinque anni hanno dato vita a un fortunato duo, che ingloba uno stile d’intrattenimento ispirato all’esempio di Les Paul.
La cantante e chitarrista Kathy Mattea è invece nata nel 1959 in West Virginia, nel cuore dell’Appalachia, dove suo nonno è arrivato nel 1911. È una star della musica country, che ha conosciuto l’apice del suo successo nella seconda metà degli anni ’80. Dopodiché ha vissuto una parabola artistica divenuta ricorrente, negli ultimi anni, tra i musicisti del mondo nashvilliano: la sua arte è maturata, attraverso una riscoperta delle proprie radici e delle proprie origini, una presa di coscienza di problemi sociali e ambientali legati alla sua terra natia, al lavoro nelle miniere di carbone per il quale era passato suo nonno, al dramma dell’AIDS.
L’incontro di questi musicisti con Gambetta ha prodotto ancora una volta uno spettacolo affascinante, denso e articolato: dai successi nashvilliani ai canti appalachiani e alle nuove canzoni sociali degli anni ’60 e ’70, con la bella voce, educata e calda di Mattea, che si è misurata anche con una sensibile interpretazione di “Lontano lontano” di Tenco; dal medley dedicato a Django Reinhardt fino a quelli sulle musiche latine, con la chitarra acustica di Raniolo, ritmica e non solo, e la limpida chitarra jazz di Vignola, a intessere insieme spettacolari stacchi melodici all’unisono; dalla tradizione di Pasquale Taraffo alle prime testimonianze di Eddie Lang, nato Salvatore Massaro, e Nick Lucas, nato Dominick Lucanese, con Gambetta alle prese anche con una nuova e bellissima chitarra baritona costruita dal fedele Antonello Saccu; per finire con standard di tutti i tempi. Ai quattro si è inoltre unito l’autore di canzoni Jon Vezner, che nel 1989 portò con una canzone scritta in comune la moglie Kathy Mattea al Grammy come ‘miglior cantante country femminile’; Jon ha cantato una sua recente composizione, “Emily Ever After”, e accompagnato alcuni brani al basso.
Il tutto curato come di consueto nei minimi particolari, con tutti i musicisti al completo o ad alternarsi in combinazioni sempre diverse, grazie alla regia di Beppe e Federica che ha reso lo svolgimento dello spettacolo piacevolmente scorrevole e privo di cali di tensione, grazie al suono impeccabile gestito da Lallo Costa, al quadro di scena al solito evocativo di Sergio Bianco e agli abituali simpatici ‘siparietti’ di Beppe.

Andrea Carpi

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