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ADGPA 2014 – Intervista ad Aldo Tagliapietra

È stato un grande piacere intervistare Aldo Tagliapietra, vera icona del pop e del prog rock italiano, fondatore e perno insostituibile delle Orme, gruppo che insieme alla PFM e al Banco ha scritto alcune fra le pagine più importanti della Storia della Musica Italiana in quel periodo, uno dei più creativi e intensi in assoluto. Aldo è adesso un sereno e carismatico signore quasi settantenne (come lui orgogliosamente tiene a precisare), con una fluente capigliatura tendente al candido, che nonostante sia stato autore, bassista e cantante di questo mitico gruppo per ben quarantadue anni, continua a mantenere una modestia e una disponibilità che sono prerogativa dei grandi. Dopo un divorzio doloroso da ciò che rimane di questo gruppo, continua un’intensa attività discografica e dal vivo che fa capire come la sua vena creativa sia ancora ben lungi dall’esaurirsi. È stato bello ascoltarlo al Rendez-Vous di Pieve di Soligo, nella riproposta in versione voce e chitarra di gran parte del suo repertorio, e percepire l’entusiasmo di un musicista di una generazione che si è costruita a suon di dedizione e motivazione, senza Internet, tutors, video didattici, YouTube dove-trovo-tutto-quello-che-mi-serve (okay, ovvio che siamo fortunati adesso ad averli…). Un musicista che peraltro ha vissuto un’epoca fantastica, dove veramente in una settimana potevi diventare da perfetto sconosciuto a famosissimo, in cui sapevi bene comunque che senza fatica non si ottiene niente.

Aldo-Tagliapietra_1È un grande piacere per me intervistarti. Dove e quando inizia la tua vita musicale e artistica?
Ho cominciato a suonare perché ho avuto l’occasione di comprare una chitarra ‘da osteria’ da un mio compagno di classe, in un periodo che può essere il 1960 o il 1961. Erano i tempi delle gite in barca per le isole della laguna di Venezia, e chi sapeva suonare la chitarra aveva una marcia in più… Ho cominciato in quel periodo a studiare gli accordi e nel ’62 ho formato un gruppetto nel quale in due suonavamo le mitiche chitarre Eko, entrambi attaccati a un amplificatorino Super MB, poi c’era uno che aveva una batteria. Il gruppetto in seguito si è evoluto e sono arrivate le tastiere… più che altro una pianola, e così sono nati i Coral. Gente tutta delle isole veneziane… potrei definirlo un ‘laguna sound’! Facevamo qualche pezzo degli Shadows, così come abbiamo continuato a farlo anche nel primo periodo delle Orme, anche se con le Orme volevamo fare pezzi nostri, a parte qualche cover proprio di Shadows o Beatles o Rolling Stones, arrangiati però in maniera personalizzata. Volevamo cioè cercare di essere originali nei confronti della moda musicale di quel periodo, che consisteva nel tradurre in italiano pezzi famosi americani e inglesi. Un ragazzo di nome Nino Smeraldi è stato il più prolifico autore delle prime Orme, mentre io ho cominciato a scrivere quando siamo rimasti in tre, cioè con Tony Pagliuca e Michi Dei Rossi.
Nel ’62-’63 sono andato a scuola di musica, cosa che in quel periodo nessuno faceva. Il mio maestro era un insegnante di clarinetto che faceva parte della banda comunale di Venezia… mi sono appassionato alla teoria e solfeggio e ho dato esami da privatista al Conservatorio ‘Cesare Pollini’ di Padova: questo mi è servito molto negli anni a venire. Io ho sempre scritto sul rigo musicale e ancora oggi, in piena era digitale, prendo appunti sui miei mille quadernetti.
Nino Smeraldi se ne andò nel ’70 e noi tre, una volta rimasti soli, abbiamo fatto Collage con tutti brani nostri. Nino era un chitarrista veneziano, era anche un universitario, un letterato e ci ha lasciati perché si sentiva il leader del gruppo: anche se in fondo lo era, a un certo punto cominciò ad apportare cambiamenti e prendere decisioni che noi non condividevamo. Così sono nati dei contrasti e lui se n’è andato. Più per divergenze artistiche che per motivi personali, anche se eravamo molto diversi. A quel punto, pur essendo e ritenendomi chitarrista, più per necessità che per propensione sono passato a suonare il basso. Ancora oggi se devo scrivere e comporre lo faccio comunque con la chitarra, che resta in assoluto il mio strumento preferito, pur essendomi appassionato in un tempo successivo al sitar.

Raccontaci del vostro primo successo
“Senti l’estate che torna” è una canzone di Smeraldi, ed era una canzone che faceva parte dell’album Ad gloriam. Fu uno dei primi pezzi che registrammo per quel disco con l’etichetta CAR Juke Box di Carlo Alberto Rossi, che è stato il primo a capire in quel tempo la creatività delle Orme. Tutto successe in una settimana… Lui venne in sala di registrazione e, dopo averla ascoltata, capì che era una canzone che funzionava. Doveva presentare un’artista per il Disco per l’estate del ’68 alla Rai e portò un cantante tradizionale com’era richiesto in quel tempo, cioè Luciano Tajoli, ma anche un gruppo beat come il nostro: in Rai era un periodo di trasformazione, di innovazione specie alla radio, con molta voglia di novità. Così, quando sentirono il pezzo beat, scelsero le Orme. Il Disco per l’estate era in quel periodo una trasmissione veramente importante, come e forse più di Sanremo… Quando arrivammo in finale a Saint Vincent non eravamo nessuno e dopo un solo passaggio in TV tutti ci riconoscevano. Pensa che eravamo arrivati con il nostro furgoncino senza che nessuno ci degnasse di qualche attenzione, mentre al ritorno tutti ci rincorrevano e ci suonavano il clacson per salutarci. Eravamo famosi! La canzone diventò un successo come 45 giri ma era comunque un pezzo dell’LP Ad gloriam, anche perché la nostra filosofia consisteva nel seguire un percorso specifico all’interno di un album, dando meno importanza alle singole canzoni. Ad gloriam infatti, uscito nel ’69, era pieno di sperimentazioni musicali, che ci erano musicalmente più consone rispetto alle pur presenti canzonette.

Ma il successo vero quando è arrivato?
Il successo vero è arrivato nel ’70. C’era aria di musica diversa, di progressive, e la conferma la abbiamo avuta quando abbiamo fatto un viaggio al mitico Festival dell’Isola di Wight, vedendo dal vivo un sacco di gruppi famosi a livello mondiale. Capimmo che la musica era cambiata, ma specialmente fummo contenti di renderci conto che eravamo sulla buona strada con la musica che stavamo facendo. La consacrazione è arrivata con l’LP Collage e più avanti con Uomo di pezza e Felona e Sorona, un concept album stampato in un secondo tempo anche nei paesi anglosassoni dall’etichetta Charisma, la stessa dei Genesis, con i testi in inglese nientepopodimeno che di Peter Hammill, cantante e paroliere dei Van Der Graaf Generator. Potrei raccontarti mille aneddoti, musicali e non… come quando siamo entrati di nascosto in un cimitero e ci siamo cosparsi il corpo di farina per fare la foto di copertina di Collage!

La ricordo bene perché avevo il poster attaccato al muro di camera mia! Ma, in seguito, come si è sviluppata la tua formazione musicale?
Con la chitarra sono stato autodidatta fino alla fine degli anni ’70, poi ho deciso di prendere lezioni di chitarra classica, imparando molti brani che normalmente fanno parte del bagaglio del chitarrista, tipo “Romanzetta” di Mario Lago, “Asturias” e “Giochi proibiti”: tutto ciò mi è servito per affinare la tecnica di arpeggio con la mano destra. Quindi mi ritengo un ‘arpeggiatore’, mi piace il fingerpicking, che mi diverto a suonare spesso con il thumbpick. Ho ‘dovuto’ suonare il basso così come è successo a Paul McCartney – fatte le debite proporzioni, ovviamente! – il quale non è nato come bassista. Ho studiato il loro ‘libro bianco giapponese’ [cfr. The Beatles Complete Scores], è la mia bibbia, con la trascrizione di tutti i pezzi di Paul, che è bassista ma suona come un chitarrista ed è fantasioso, uno dei più bravi.

Chi sono i musicisti che hai ascoltato e ritieni ti abbiano influenzato di più?
I già citati Shadows e Beatles, poi Chris Squire (anche se troppo veloce per le mie possibilità…), Jack Bruce ed Emerson, Lake & Palmer per il sound delle Orme. Quando sento una canzone con voce e chitarra, inoltre, le mie orecchie si ‘drizzano’ subito. Amo John Lennon, per l’efficacia di fare cose bellissime con tre accordi; poi mi piace molto Ian Matthews con le sue ballate, di cui sono affascinato. In effetti sono appassionato di ballate, canti irlandesi, tutto ciò che ha una base folk; i Jethro Tull, che hanno ballate di estrazione popolare. Mi ritengo io stesso autore di ballate più che di ‘canzoni’, che hanno uno sviluppo ben preciso… le ballate sono più libere. Secondo me, “Gioco di bimba” e “Amico di ieri” sono ballate.

Come scrivi le canzoni? In genere arrivano prima le musiche o i testi?
La musica arriva con più facilità e spontaneità, mentre per i testi mi devo applicare di più. Le melodie mi sono sempre arrivate prima, anche quando lavoravo con le Orme e i testi li faceva TonY Pagliuca. In base poi ai testi, certe volte la melodia può subire alcune variazioni.

Parlami dei chitarristi con cui hai suonato.
Ho avuto la fortuna di suonare con bravissimi musicisti, sempre più bravi di me. La storia dei chitarristi delle Orme è sempre stata molto varia, tanto che posso considerarne certi come ‘fissi’, mentre altri hanno collaborato dall’esterno, come Tolo Marton, che di fatto ha suonato con noi quasi solo per registrate Smogmagica. Posso citare ancora i bravissimi Ruggero Robin e Giorgio Mantovan, ma quello che ricordo con più piacere è Germano Serafin, che ha suonato con noi per sei anni scrivendo anche canzoni. Ricordo quanto ci impressionò in occasione del suo provino per sostituire Tolo, per il fatto che in soli tre giorni si imparò tutti i nostri brani comprese tutte le parti di chitarra. Era molto ricettivo e bravo, nonostante fosse giovanissimo. Devo dire che all’inizio ero perplesso, ma Tony e Michi lo vollero e hanno avuto ragione. Ha poi coinciso con il momento per me più bello e completo delle Orme, quello di Verità nascoste del 1976.

Cosa rimane delle Orme
Hanno preso una strada che non è più la mia. Le Orme restano comunque il ricordo più importante della mia vita e ringrazio i miei ex colleghi per un’esperienza unica durata quarantadue anni.

Qual è il presente di Aldo Tagliapietra?
Difficoltoso, ma sono soddisfatto. Difficoltoso perché chiamarsi Orme è una cosa, mentre il nome Aldo Tagliapietra (come del resto Tony Pagliuca o Michi Dei Rossi) è diverso. Devo sempre stare attento che nessun organizzatore, anche in totale buonafede, citi il nome Orme, che attualmente è controllato da altre persone e ciò mi crea apprensione e un grosso dispiacere. Sono comunque soddisfatto dal punto di vista creativo, specie per il mio nuovo disco, L’angelo rinchiuso, che mi sta gratificando da tutti i punti di vista, anche per la sua libertà compositiva ed espressiva.

Tagliapietra_L'angelo-rinchiusoParlami del tuo recente libro autobiografico Le mie verità nascoste, scritto in collaborazione con Omero Pesenti, Gianpaolo Saccomano e tua figlia Gloria.
Qualche tempo fa mia figlia Gloria mi disse che due giornalisti esperti di biografie avrebbero voluto scrivere un libro su di me… Mi hanno sempre fatto ridere quelle persone che si improvvisano scrittori per raccontare la loro storia, ma lo avrebbero fatto loro per me, quindi ho accettato. Abbiamo fatto una cinquantina di ore di intervista, specie su Skype; io volevo che il libro fosse scritto in un modo che mi rappresentasse. Pensavo anche di non ricordare nulla del mio passato, ma poi – iniziando a parlare – mi sono venuti in mente tanti episodi, tante cose, e mi sono stupito di tutto quello che ricordavo. Quindi il libro è venuto fuori come se lo avessi scritto io con le mie mani. È una cosa che ho fatto per i miei fan e non certo per guadagnarci. È stata anche un’occasione per dare la mia visione dei fatti e la mia interpretazione della realtà… cioè le mie ‘verità nascoste’!

Alberto Grollo

PUBBLICATO
Chitarra Acustica, 10/2014, pp.22-24

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