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Acoustic Franciacorta – Intervista ad Andrea Valeri – 6 settembre – Borgonato di Corte Franca

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(di Olawumi Olayemi Ajileye e Claudio Cappelletti)
Durante il tuo concerto di questa sera abbiamo notato che il tuo stile è diventato ancora più energico e vigoroso. È stata una precisa scelta personale?
Sì, è stata una scelta mia, perché mi sentivo così energico, stasera. Ma la mia personalità si completa spesso e volentieri con brani che scrivo, più lenti e dolci… Molte volte dipende anche dalla serata, dal concerto, dal luogo, dal pubblico e da come mi sento. E poi questa era per me una serata molto particolare: tornavo qui in Franciacorta dopo due anni di assenza e mi sentivo di dover dare tutto per il pubblico. Il mio concerto sarebbe durato soltanto quaranta minuti e in questo breve spazio ho cercato di esprimermi al massimo delle mie possibilità. Normalmente, in un concerto più lungo, di un’ora e mezza o giù di lì, cerco di attenuare un pochino il ritmo, come se il concerto seguisse il grafico di un’onda…

Quali sono le caratteristiche del tuo stile?
Come avrete notato, nel mio modo di suonare cerco di mettere insieme tante cose che fanno riferimento a ‘mondi’ musicali differenti.. Ci provo fin da quando ero un bambino: suonavo in duo con un altro ragazzo che si chiama Lorenzo. Un giorno mi venne questa idea: mentre provavamo “Fiume Sand Creek” di De André [con destrezza accenna un paio di accordi sulla sua chitarra] mi chiesi: «Ma perché non chiamiamo un bassista e un batterista e facciamo una band?» Lorenzo mi rispose onestamente: «Bell’idea! Ma chi li paga?» [scoppia a ridere al solo ricordo] E allora mi legai il tamburello al piede [indica il piede sinistro e batte a tempo il piede mimando di suonare un tamburello], con la mano sinistra potevo suonare la linea di basso e con la destra la parte di percussioni. Lorenzo faceva la parte degli accordi e avevamo fatto la band! Non costava niente a nessuno.

Tu hai sperimentato anche la chitarra elettrica: che differenze hai trovato e quali invece le somiglianze con la chitarra acustica?
Elettrica o acustica, la chitarra è sempre la chitarra. È lo strumento che mi permette di esprimere al meglio la mia musica. Se mi togliessero la chitarra continuerei a fare musica lo stesso, ma è il mezzo migliore che ho trovato per parlare con le persone. La musica è un linguaggio universale che vale a prescindere, è un linguaggio che quando noi davvero ‘finiamo’, ‘arriviamo ai limiti’, lei arriva. Se ti lasci la musica dietro e fai di te stesso il protagonista, la musica non arriverà mai a chi ascolta, non riusciranno a viverla davvero. Devi invece fare il contrario: metterti dietro, come una sorta di traduttore invisibile per le persone, e lasciare che la musica arrivi. Solo così le persone davvero la capiscono, la vivono.
Le chitarre stesse ovviamente ti ispirano: questa chitarra Maton [guarda con affetto la chitarra che tiene in grembo] ce l’ho dal 2007, ha viaggiato al mio fianco in tutti i paesi del mondo. Ogni tipo di chitarra ti ispira per cose diverse: la chitarra elettrica mi ha dato le basi e mi ha ispirato molto per l’improvvisazione; la chitarra classica mi ha cresciuto molto nella tecnica della mano destra e sulle dinamiche del suono [suona con facilità diversi accordi mettendo insieme una piccola melodia]. Molte delle tecniche che uso vengono da là, riadattate al repertorio acustico e al fingerstyle, ovviamente, ma sono quelle. Quando mi sono dedicato all’acustica, mi son dovuto tagliare le unghie della mano destra, che tenevo lunghe, perché si rompevano sempre. L’acustica è la chitarra che a mio parere mi rende più espressivo. Ed è completa, ci si può fare veramente di tutto. Ma, insomma, la chitarra è sempre stupenda…

Parliamo del presente, al momento stai collaborando con Michael Fix: come vi siete conosciuti, come è nata questa collaborazione?
Io e Michael ci siamo conosciuti assolutamente per caso nel 2007. Suonavamo al Meet Milano e nessuno di noi sapeva che l’altro avrebbe suonato in quella manifestazione: ci siamo incrociati così [muove le mani in due direzioni diverse e le fa incontrare quasi per sbaglio], ci siamo guardati, ci siamo riconosciuti e io ho suonato un po’ con lui. Michael è sempre stato gentilissimo. Io lo chiamo adesso ‘il mio babbo australiano’, e lui mi chiama a sua volta ‘il mio figlio italiano’! C’è stato subito un feeling fantastico, fin dalla prima volta che ho suonato con lui, e col passare degli anni abbiamo costruito molte cose insieme. Lui ha partecipato al mio disco Maybe, il primo che ho pubblicato con la Vinile Records, e io a mia volta ho partecipato al suo Two Timing del 2011. Inoltre Michael sarà presente anche nel mio prossimo album, che uscirà a breve. Per me è sempre una grande occasione di scambio, una crescita costante e continua. Ho la fortuna di suonare in giro per il mondo tutto l’anno, e di musicisti incredibili se ne possono incontrare uno a ogni angolo di strada! Ma Michael ed io ci troviamo particolarmente bene, ci piace molto anche viaggiare insieme, oltre che suonare insieme. Abbiamo fatto di recente un tour in Lussemburgo, uno in germania, due in Australia. Nel frattempo porto avanti anche altre collaborazioni con John Doan, con il grande musicista francese François Sciortino, con Tony Cox. Ma Michael è di sicuro una persona meravigliosa, oltre che un musicista meraviglioso.

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Quindi vi siete trovati anche dal punto di vista umano.
Assolutamente, Michael è una ‘pasta’: è scattato subito qualcosa fra di noi, ma oltre a ciò il nostro rapporto è maturato nel tempo quando abbiamo iniziato le collaborazioni recenti: ciascuno chiedeva l’aiuto dell’altro… Michael era ed è tutt’oggi uno dei miei più grandi idoli, quando mi ritrovo a collaborare con lui è sempre motivo di stimolo, crescita e ammirazione. Ma mi rendo anche conto di essere insieme a un grande amico.

Sei già stato ad Acoustic Franciacorta in passato: cosa provi quando suoni su uno dei palchi di questo festival?
È una cosa speciale, fantastica. L’atmosfera creata dal pubblico è bellissima. Le persone che partecipano a questo festival sono proprio appassionate, calorose, piene di affetto ed energia. Lo considerano un avvenimento importantissimo… e pensare che stasera giocava l’Italia! Qui da noi si segue il calcio 24 ore su 24, eppure c’era talmente tanta gente che non riusciva più a entrare. Ed è fantastica non solo l’atmosfera, ma anche lo spirito di accoglienza: la dolcezza del pubblico della Franciacorta è importantissima per noi artisti che suoniamo, ci aiuta a dare loro il meglio di noi stessi e a coinvolgere tutti nel concerto. Credo che sia importante, come performer, non creare un distacco tra il palco e il pubblico, ma cercare di portare tutto il pubblico sul palco durante lo show. Salire sul palco dell’Acoustic Franciacorta è sempre un’emozione bellissima.

Speriamo che ci tornerai! Per concludere, una curiosità: qual è l’ultimo disco che hai ascoltato?
Colonne sonore. Io ascolto molto spesso colonne sonore, perché ti danno una cosa che è fondamentale quando vuoi cercare di raccontare delle storie con i tuoi pezzi: tentano di narrare la storia del film attraverso la musica e ti danno quell’ingrediente che ti fa capire come raccontare le tue storie con la tua musica.

PUBBLICATO
Chitarra Acustica, 10/2013

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