Muriel Anderson è un personaggio assolutamente “trasversale”. Il termine può voler dire tutto o niente, proviamo a fornire un quadro della situazione per far capire qualcosa di lei a chi non la conoscesse.
Immaginate di trovarvi di fronte a una affascinante donna americana, sorriso ammaliante ma simpatico, minuta nel fisico ma con una personalità straripante, sguardo intelligente e sempre pronta alla battuta.
Immaginatela poi sul palco, di solito con una sei corde classica, ma a volte con una acustica e spesso con una harp-guitar, con la quale ha registrato più di un disco.
Immaginate la sua musica, ci si aspetta un repertorio classico, di maniera, e invece la sua chitarra suona prima come un koto giapponese, poi come una band di bluegrass imitando i vari strumenti tipici delle formazioni statunitensi. Non si fatica a trovare brani dal sapore classico suonati come si deve e dopo qualche minuto un pezzo con basso alternato alla Chet Atkins o l’arrangiamento di un brano ragtime, apparentemente semplice, ma pressoché impossibile da eseguire.
Immaginate lei, con due valigie alte come una persona, una custodia di chitarra sulle spalle, che passa di treno in treno, di volo in volo, restando a volte anche tre, quattro mesi lontana da casa, a Nashville.
Immaginatela poi sul palco come organizzatrice di un evento che sta sempre più prendendo piede a livello internazionale e che ha visto ospiti di grande prestigio alternarsi nelle varie edizioni, la sua All Star Guitar Night è immortalata da qualche anno su Dvd e dimostra la grande capacità di Muriel di dividersi fra i vari aspetti che possono comporre il quadro della nostra professione, dimostrando come una sola persona possa in realtà sdoppiarsi, triplicarsi.
Ma questo è il film della sua vita, che si riflette appieno nella musica che produce.
A questo punto ci sono le basi per apprezzare l’intervista che segue, ricca di spunti interessanti, mai banale, arguta e sincera.
Con oltre quindici dischi alle spalle, un titolo come il National Fingerstyle Championship vinto – la prima donna a trionfare in una competizione fino a quel momento appannaggio dei colleghi maschi – una serie di collaborazioni molto diverse fra loro a testimoniare la grande versatilità del personaggio, tutto contribuisce a renderla un personaggio davvero unico, per tanti motivi.
Ciao Muriel e benvenuta sulle pagine della nostra rivista. Molti dei nostri lettori ti conoscono già, visto che sei venuta spesso in Italia e hai registrato degli splendidi video su fingerpicking.net, ma non tutti conosceranno la tua storia musicale, vuoi dirci qualcosa di come hai iniziato? C’è una differenza fra ciò che ascoltavi all’inizio e cosa ascolti oggi?
Penso che molti userebbero un sonoro “sì” a questa domanda! Infatti molti giovani stanno riscoprendo le melodie, i groove e la potenza di musica degli anni ’70 e ’80. C’era anche una differenza nel modo in cui fruivamo della musica. Ascoltare un album era un evento in sé. Ci sedevamo e ascoltavamo l’intero disco, leggendo tutte le note di copertina, poi lo giravamo e ascoltavamo l’altro lato. La musica ci portava in un altro mondo, di recente ho ascoltato l’ultimo lavoro di Victor Wooten, “Words And Tones”. L’ho messo su di mattina e l’ho ascoltato tutto in pigiama, mi ha regalato qualcosa di magico, come la musica di quando ero bambina.
Quali sono le tue influenze, quelle che vedi chiaramente oggi?
La musica che ascoltavo di più era quella di Doc Watson, Bill Monroe, musica folk bulgara, macedone e turca, the Paul Winter Consort, Simon & Garfunkel, e il Pat Metheny Group. Più tardi, al college, Christopher Parkening fu un’ispirazione per suono e fraseggio, e Chet Atkins divenne un’influenza subito dopo, quando lo conobbi.
Tu hai alle spalle studi classici, ma hai scelto di non essere una musicista classica, giusto?
Ha! Non so se direi che ho una formazione classica. Ho iniziato da folk, bluegrass e jazz, ma l’unico modo di studiare chitarra al college era studiare la classica. Ero riluttante e non pensavo di farlo a lungo e non ne sapevo molto. E invece ho scoperto un mondo in fatto di fraseggio, suono e interpretazione, elementi che ho incorporato nella mia musica. Ho suonato repertorio classico a Chicago per diversi anni, prima di tornare alle origini e godere di molti tipi di musica.
Come ti sei avvicinata all’Atkins style? Ci dici anche del tuo trasferimento a Nashville?
Mentre studiavo classica alla De Paul University ho preso delle lezioni di mandolino da Jethro Burns (del celebre duo Homer and Jethro n.d.r.), non lontano dal campus. Gli suonai “Nola” alla chitarra e lui disse “Devi incontrare mio cognato, Chet Atkins”. E così Chet divenne un vero mentore, registrò un gran numero di suoi brani apposta perché io li imparassi. Iniziai a venire a Nashville per trovare amici, scrivere e registrare e fare qualche lezione con Chet. La città mi faceva sentire a casa ed era molto stimolante per la crescita di una giovane musicista.
È chiaro, da come suoni, che hai molte influenze e molto diverse: è impressionante quanto ti trovi a tuo agio con musiche diverse fra loro, c’è un modo per te di studiare i vari linguaggi o è qualcosa che accade naturalmente?
Grazie per riferirti agli stili come ‘linguaggi’, è davvero così. Devi pensare in modo diverso, con differenti priorità, per scoprire gli elementi che danno vita a ogni stile. Mi piace imparare anche qualcosa della lingua di ogni posto che visito, per cercare di capire meglio le persone. Grazie [in italiano].
Scrivi molta musica originale, oltre a fare arrangiamenti, hai un tuo modo di affrontare la scrittura? Scrivi mentre sei in tour?
Si, spesso la musica inizia a scriversi da sola, in un sogno o mentre sono seduta con la chitarra in mano pensando ad altro, poi sviluppo il tema.
Anni fa mi hai dato il tuo splendido arrangiamento di “Nola” che non ho mai suonato, troppo difficile! Come tutti i grandi chitarristi, fai sembrare facili le cose difficili, fai ancora molta pratica?
Oggi improvviso un po’ quando suono “Nola”, quindi cambia sempre e mi mette alla prova. Mi piace suonarla sulla harp-guitar a 21 corde. Nel mio video corso 50 Right Hand Techniques parlo di come abbia dovuto interamente rivedere la tecnica della mia mano destra per ottenere la fluidità di cui avevo bisogno. A volte, ancora oggi, è come tornare all’asilo per imparare elementi di un nuovo stile che voglio incorporare.
Quanto tempo ti occorre per essere sicura di un nuovo brano ed eseguirlo dal vivo? Ti ricordi qual è stato il più lungo periodo di incubazione di un brano che dovevi eseguire in concerto?
Alcuni brani hanno bisogno di molto più tempo di altri e non aspetto che siano interamente pronti o non li suonerei mai! Spesso, dal vivo, suono un brano che ho appena scritto, mi piace coinvolgere il pubblico nel processo creativo di cosa mi eccita musicalmente in quel momento. Trovo nuove idee sul palco ed è tutto fondato sull’esperienza della musica per uno spettacolo dal vivo.
Il tuo strumento principale è la classica, ma suoni anche l’acustica e la harp-guitar, è complicato per te passare da uno strumento all’altro sul palco?
Le mie dita si adattano ai diversi strumenti, a volte è più semplice cambiare chitarra che cambiare corde. Trovo le GHS molto intonate. Una cosa che mi mette alla prova è che ogni mia harp-guitar ha un numero differente di corde, questo fa si che i bassi siano sempre diversi! A volte metto un segno con il pennarello sulla corda bassa di La così so quale sto suonando…
Hai sempre uno splendido suono dal vivo, cosa usi per amplificare le chitarre oltre ai pickup, hai preamplificatori o D.I.?
Grazie. Il suono dal vivo è sempre una sfida. In questo periodo uso una combinazione formata da microfono DPA con un pickup D-Tar, sperimento di continuo per avere un suono migliore. Il duo Tierra Negra (con cui Muriel collabora, n.d.r.) ha uno splendido suono di palco con chitarre da flamenco.
Quali sono le tue chitarre preferite, quelle che non porti in giro?
La chitarra che preferisco è capitata in modo del tutto inatteso. Ero al Newport Guitar Show a Miami Beach, in Florida. Mentre andavo a prendere una classica Paris Banchetti sono passata vicino a una piccola parlor acustica, la chitarra con il più bell’intarsio che avessi mai visto. Ho chiesto di provarla e ho subito trovato un suono che cercavo da tanto. Non avevo nessuna intenzione di comprare una piccola chitarra acustica, ma l’ho presa all’istante. Poi ho scoperto che il liutaio, David Taylor, era stato a uno dei miei seminari ed era tornato a casa così ispirato da costruire questa chitarra. L’intarsio era una rosa del suo giardino, che lui disse gli ricordava lo spirito della mia musica.
Che succede quando un concerto non va come vorresti, cosa hai imparato dall’esperienza?
Un duo musicale di Chicago mi disse che durante un party suonò tre brani lenti di fila, a un certo punto entrò un uomo con una pistola urlando “Ora mi uccido!”. Arrivò la polizia e sistemò la cosa, ma loro non suonarono mai più tre brani lenti di seguito!
Ti piace suonare con altri musicisti, alcuni tuoi dischi sono di collaborazioni, a cosa lavori attualmente?
Sto registrando un doppio album con alcuni tra i migliori amici musicisti che ho, c’è Mark Kibble dei Take 6, Danny Gottlied del Pat Metheny Group e Victor Wooten al basso. Farò anche una All Star Guitar Night con Stanley Jordan e Tierra Negra, è un vero piacere lavorare con persone così.
La All Star Guitar Night che organizzi ogni anno a Nashville è un meraviglioso show, pieno di musica, quanto è complicato organizzare una cosa simile?
La mia benedizione è avere l’aiuto di persone come Brad e Ali della Truefire, fanno un incredibile lavoro di produzione e curano un numero infinito di dettagli. La Truefire produce anche i miei corsi e lo fa altrettanto bene! Ho un nuovo corso che si chiama “123 Fingerstyle” che sta avendo ottime recensioni e spinge molti chitarristi verso la tecnica fingerstyle tradizionale.
Cosa ascolti in questi giorni, stai cercando nuove strade da esplorare?
Ascolto musica di miei amici, grandi musicisti, dal soul alle orchestre, dal flamenco al bluegrass.
Ti va di dare ai giovani musicisti un paio di suggerimenti che li possano aiutare?
Ascoltate e godete dei suoni del vostro strumento, come se foste il pubblico invece del musicista. Allora il suono suonerà con voi!
Ci lasci con qualche suggerimento su cosa ascoltare, qualche tua influenza che non ci aspetteremmo?
Un po’ di musica che mi ha veramente toccata: Wolf Eyes (Paul Winter Consort), Le Sable et La Mer (Tierra Negra), La Leyenda del Tempo (El Camarón De La Isla), Where’ve You Been (Kathy Mattea), Soul with a Capital S (Tower of Power), Ave Verum Corpus (Mozart / Academy of St. Martin In the Fields), When I Stop Dreaming (Louvin Brothers), Makedonsko Devojce, (musica tradizionale macedone).
Ci dici qualcosa della tua passione per il cibo italiano?
Ah, ora si che facciamo sul serio! Come per la buona cucina, amo i buoni ingredienti! C’è una sezione sul mio sito web dedicata alle ricette, e durante il mio ultimo tour italiano ho passato del tempo aiutando dei bravi cuochi e cercando di imparare alcuni dei loro segreti.
Grazie del tempo che ci hai concesso, speriamo di rivederti presto in Italia!
Certo, non appena mi inviteranno di nuovo per un festival, diro “sì!”.
Daniele Bazzani