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In tour in Italia – Intervista a Biréli Lagrène e Giuseppe Continenza

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Lagrène e Continenza – foto di Paolo Iammarone

(di Domenico Lobuono) – È sempre un piacere parlare di collaborazioni tra grandi artisti, e il piacere è ancora maggiore se, come in questo caso, uno dei due artisti è italiano. Biréli Lagrène è oggi uno dei nomi più noti e rispettati della chitarra jazz, nonché uno dei più amati dal pubblico. Virtuoso naturale, capace di passare con disinvoltura dalla chitarra al basso (anche memore della sua collaborazione con Jaco Pastorius), Biréli è musicista di derivazione manouche, che si è poi spostato su un terreno più ‘americano’, cosicché oggi è uno dei pochi, se non forse l’unico, a potersi esprimere in entrambi gli ambiti con pari autorevolezza e maestria. Giuseppe Continenza è uno dei chitarristi italiani più dinamici e apprezzati non solo nel suo paese. Dopo la frequentazione del rinomato Musicians Institute di Hollywood (quando ancora vi insegnavano artisti del calibro di Scott Henderson, Joe Diorio, Don Mock, Ron Escheté, Steve Trovato e Howard Roberts), torna in Italia e apre nella sua Pescara all’inizio degli anni ’90 la scuola di musica E.M.I. (European Musicians Institute), avviando al contempo un’attività artistica sin da subito ricca di collaborazioni con grandi nomi: Vic Juris, Jimmy Bruno e da ultimo, per l’appunto, Biréli Lagrène, con il quale ha intrapreso diversi tour. Innumerevoli le attestazioni di stima nei suoi confronti da nomi di spicco del jazz internazionale. Abbiamo intervistato i due artisti congiuntamente in occasione del loro tour in Italia.

Ciao ad entrambi! Come è nata la vostra collaborazione musicale e a che cosa è approdata?
Giuseppe Continenza: Ci siamo incontrati ad un festival jazz nel lontano 1998. Avevamo amici musicisti in comune, fra cui Vic Juris, chitarrista storico di Dave Liebman. Ricordo che abbiamo trascorso un po’ di tempo parlando di musica e in particolare di chitarra. Scattò subito una simpatia fra noi, avremmo potuto parlare per ore.
Biréli Lagrène: Sì, dopo esserci incontrati ricordo che ho ricevuto il CD di Giuseppe e mi è piaciuto molto. Da lì poi iniziò la collaborazione.

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Lagrène e Continenza- foto di Paolo Iammarone

Il jazz è oggi un territorio molto vasto: in quale àmbito vi riconoscete maggiormente e qual è il territorio comune sul quale vi muovete quando suonate assieme?
G.C.: Certo, oggi la parola jazz racchiude in sé una molteplicità di sfaccettature e di sottogeneri. Per me è importante l’improvvisazione, che reputo essere l’essenza della musica jazz; e soprattutto ritengo che la melodia sia la chiave di tutto. Ogni nota o accordo deve essere al servizio della musica. Ai miei studenti faccio sempre l’esempio del bravo cuoco che… fa il risotto con lo zafferano, non lo zafferano col risotto! In parole povere il risotto è la melodia, mentre lo zafferano è il virtuosismo, che non guasta se messo al servizio della musica. Diciamo che io amo tutta la buona musica, dalla classica al rock, al soul, al blues ecc., e ritengo che qualsiasi suono che udiamo ci possa influenzare, come del resto qualsiasi emozione. Direi che mi ritengo semplicemente un musicista. Con Biréli nasce tutto spontaneo ed è questa la magia che il pubblico percepisce: la spontaneità e la creatività in tempo reale.
B.L.: Premesso che io amo tutta la musica in genere, ovviamente amo il jazz e amo introdurre nella mia musica tutto ciò che in quel momento ho dentro: una melodia, una frase. Sono stato molto influenzato dalla musica classica, difatti suono anche il violino e penso che la cura del tocco, della melodia e delle dinamica abbia molto influenzato il mio modo di suonare. Amo suonare con Giuseppe, e soprattutto è bello perché siamo liberi di interagire e di creare momenti imprevedibili. Il jazz è pura creatività e spontaneità.

Una domanda sul vostro percorso formativo e artistico. Vi sono oggi artisti che, sulla scorta della tradizione, in genere approcciano la chitarra e la musica prevalentemente con l’ascolto, trascrivendo gli assoli dai dischi, e con lo studio personale; altri invece, grazie alle scuole di jazz, possono seguire dei corsi in cui il jazz viene insegnato in maniera sistematica. Quale approccio e quale percorso vi sentireste di consigliare a un giovane che si avvicina al jazz?
B.L.: Ho iniziato a suonare molto presto a soli quattro anni, che io ricordi. Mio padre era un musicista e in casa mia c’era sempre una chitarra in giro. Ho iniziato pian piano a suonarla. Ricordo che mio padre mi insegnava le prime frasi e i primi accordi. Poi di lì tutto è andato molto velocemente: ho iniziato a suonare praticamente sempre, ho consumato interi vinili trascrivendo soli di Django. Il tutto mi veniva con molta naturalezza e spontaneità. Diciamo che sono totalmente autodidatta. Per un giovane che approccia lo studio dello strumento certamente consiglierei di suonare un po’ di tutto e di non porsi limiti. La perseveranza premia. E poi, trovare magari un bravo insegnante che sappia davvero trasmettere i fondamenti della musica.
G.C.: Io ho iniziato a sette anni grazie anche a mio padre, che era un bravissimo chitarrista jazz con un orecchio a dir poco incredibile. Avevo varie chitarre per casa, ma mi toccava sempre prendere la più economica che aveva una action altissima. Ho iniziato pian piano giocando con lo strumento, per poi intraprendere più in là lo studio della chitarra classica. Successivamente mi sono trasferito in California e precisamente a Hollywood per studiare al G.I.T. del Musicians Institute, dove ho avuto la possibilità di perfezionare i miei studi con Scott Henderson, Joe Diorio, Don Mock, Howard Roberts e tantissimi altri ancora. È stato molto formativo per me: in quel periodo c’erano davvero i più grandi musicisti e insegnanti dell’intero globo. Riguardo ai consigli da dare ai giovani musicisti, credo che sia necessario studiare molto per avere un vocabolario fluente e una profonda conoscenza dello strumento; poi, di certo, trovare un insegnante preparato, che abbia dato frutti con altri studenti, che sappia trasmettere con semplicità e umiltà, e soprattutto che abbia metodo; inoltre trascrivere parti di soli e capire cosa succede, e lavorare sul proprio stile. Insegno da anni chitarra moderno nel Conservatorio ‘Luisa D’Annunzio’ di Pescara, che reputo di alto livello, e nelle mia accademia European Musicians Institute, che ho fondato nel 1994 e che accoglie studenti provenienti da diverse parti dell’Italia. Adoro vedere gli studenti crescere e sviluppare la propria personalità e il proprio linguaggio.

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Lagrène e Continenza al Conservatorio di Pescara – foto di Paolo Iammarone

Che tipo di pubblico viene ai vostri concerti? Il pubblico italiano è fatto ancora solo di appassionati o la platea si è ampliata con gli anni?
B.L.: Il pubblico è vario di volta in volta, ma penso che negli ultimi anni molte persone si siano avvicinate al jazz. Con Giuseppe, sia in quartetto che in duo, fortunatamente abbiamo sempre molto séguito anche in Italia, dove il pubblico è davvero attento e partecipe.
G.C.: Dal mio punto di vista penso che si stia davvero allargando. Certo, poi dipende anche da noi musicisti e penso che la cosa che determina il successo, oltre la singola bravura del musicista, stia nella scelta del repertorio e nel suonare sempre comunicando emozioni: questo è il segreto di ogni artista di successo, credo.

Il pubblico del jazz è anche un pubblico che, sia pure nel suo piccolo, continua a comprare i CD; alcuni sono addirittura ancora legati al vinile. Per i musicisti l’incisione di un CD è ancora oggi un momento rilevante? Come pianificate le vostre incisioni, c’è sempre un progetto dietro?
G.C.: Dal mio punto di vista un album è molto importante per un artista, perché rappresenta appunto un progetto, una via da percorrere, anche se a volte può risultarne molto complessa la realizzazione, sia dal punto di vista logistico che da quello economico. Amo registrare i miei album in studio con i musicisti e provare a registrare principalmente live, per poi sovraincidere alcune parti. Di solito nasce prima il progetto e, poi, si contattano i musicisti adatti per realizzarlo al meglio.
B.L.: Certo, è determinante: credo che ogni album a volte ti spinga in una direzione differente, ed è sempre una nuova ricerca, la ricerca di qualcosa di diverso dal precedente progetto; oppure a volte è la continuazione di esso. Purtroppo le vendite dei dischi sono notevolmente scese negli ultimi anni e non è facile, anche per le nuove generazioni, proporre progetti alle etichette discografiche. D’altro canto, i prezzi delle produzioni e delle realizzazioni dei CD sono scesi.

Tra i compositori del passato c’è qualcuno che prediligete? Monk o Ellington, ad esempio, o Shorter? Amate comporre voi stessi?
B.L.: I compositori che amo sono davvero molti: Django, Shorter, Miles, Corea e tantissimi altri. Comporre a volte mi piace, ma non sempre: devo essere ispirato.
G.C.: Amo diversi compositori: fra i nuovi adoro Billy Childs, Pat Metheny, Scott Henderson, Gary Willis; mentre fra i classici mi piacciono molto Wayne Shorter, Chick Corea, Herbie Hancock, Miles Davis e tantissimi altri, la lista sarebbe lunghissima. Poi adoro Bach, Mozart, Chopin, e anche qui la lista sarebbe lunga. Anche per me comporre necessita di un’emozione e di un’ispirazione; ma quando poi accade, è magia!

Quali sono le collaborazioni con altri musicisti che vi hanno arricchito di più?
G.C.: Per me, decisamente, suonare con Biréli è stata un’esperienza formativa in tutti i sensi. Ormai sono anni che collaboriamo e ogni volta è sempre una grande emozione; inoltre c’è molta stima anche dal punto di vista umano, essendo Biréli una persona umile e davvero molto speciale. Poi c’è anche Gary Willis, sotto tutti i punti di vista; Joe Diorio, una vera leggenda vivente con il quale ho condiviso diversi concerti; Vic Juris, con cui ho inciso due album e che è un musicista fantastico. Pensa che Joe Diorio mi disse: «Devi suonare con Vic, ti piacerà e vi vedo bene insieme»; consiglio che presi alla lettera. Poi Jimmy Bruno, Martin Taylor, Dominique Di Piazza, Jack Wilkins, Gene Bertoncini – un altro gigante della chitarra con il quale ho registrato un album tributo a Jobim –, Michael Baker… e la lista anche qui è lunga.
B.L.: Per me suonare con Jaco Pastorius è stata davvero una grande esperienza: ero giovanissimo e registrare per poi andare in tour con lui fu una lezione indimenticabile. Stéphane Grappelli è un altro musicista speciale con cui ho suonato: che dire se non che era un musicista fantastico. Poi Niels-Henning Ørsted Pedersen, contrabbassista straordinario, e tantissimi altri molto speciali: Larry Coryell, John McLaughlin, Joe Zawinul, Al Di Meola, Stanley Clarke, Jean Luc Ponty, Richard Galliano…

Quali sono, se ci sono, i vostri chitarristi di riferimento tra quelli storici?
B.L.: I chitarristi che ho sempre ascoltato e che tutt’ora amo sono Django Reinhardt, ©, George Benson. G.C.: Sono cresciuto con Wes Montgomery, Barney Kessel, Joe Pass, George Benson, Jim Hall, Pat Martino; e poi mi piacciono molto Jimmy Wyble, Barry Galbraith, Jimmy Raney.

Qualche domanda sulla vostra strumentazione. Vedo che tu Biréli suoni spesso le grosse archtop della Gibson quando suoni mainstream: è quello il tuo suono di riferimento? In àmbito gipsy che chitarre usi? Hai preferenze sull’amplificazione?
B.L.: Uso chitarre Yamaha da moltissimi anni, poi amo le Gibson archtop: le trovo favolose. Ora ho una Gibson ‘Johnny Smith’ che mi piace moltissimo; in passato ho avuto una Gibson Super V e una ‘Wes Montgomery’ L-5 CES. Per i tour con Giuseppe a volte uso le sue Gibson: una Super V e una Le Grand davvero bellissime. Per il gipsy ho usato una Dupont e, come amplificatori, uso i DV Mark, che ho provato la prima volta a un concerto con Giuseppe e mi sono piaciuti fin da subito.

Tu invece, Giuseppe, sei endorser Benedetto se non sbaglio: prediligi un suono leggermente più acustico del classico Gibson?
G.C.: Sì, sono endorser Benedetto dal 2003. Uso principalmente una Benedetto ‘Cremona’, che ha un’acustica incredibile e cerco di valorizzare al meglio questa sua potenzialità: adoro fondere il suono elettrico con l’acustico e la Benedetto è perfetta per questo, davvero una chitarra unica con un manico incredibilmente comodo. Come amplificatori anch’io uso i DV Mark che trovo fantastici: ne ho vari sia valvolari che a transistor. Ultimamente sto usando per il jazz il Little Jazz 12 che è leggerissimo, potente e con un suono cristallino. Per le situazioni più elettriche uso il DV 40 e il Multiamp, ambedue stupendi. Uso effetti dell’Eventide, lo Space Reverb e il Time Factor, che trovo spettacolari. E le corde La Bella che uso da moltissimi anni. Per le situazioni più acustiche uso una chitarra classica Buscarini e un’acustica Ronald Ho appartenuta in precedenza a Robben Ford, ambedue equipaggiate con i sensori costruiti da Carlos Juan: credetemi, sono davvero incredibili; il suono naturale dello strumento viene amplificato senza alterare le caratteristiche peculiari dello strumento.

Quali sono i vostri progetti imminenti? Sarete di nuovo in tour in Italia prossimamente?
G.C.: Riprenderemo il tour a settembre e gireremo anche in Europa. E presto registreremo un album.
B.L.: Oltre ai tour ho da poco registrato un album in trio con Jean-Luc Ponty e Stanley Clarke, che uscirà probabilmente a settembre.

Avete in cantiere anche opere didattiche? In àmbito gipsy ad esempio non c’è molto e sarebbe interessante realizzare un DVD didattico.
B.L.: Per ora non credo. Ma a fare qualcosa di didattico ci sto pensando e prima o poi succederà.
G.C.: Ho in cantiere diversi progetti, fra cui un DVD e un metodo sul bebop al quale sto già lavorando da diverso tempo.

Domenico Lobuono

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