(di Stefano Barbati) – Pino Daniele per me è molto più di un’influenza musicale: è un pezzo di vita, un catalizzatore di emozioni, un marchio musicale che mi porto dietro con un certo orgoglio.
È cominciata così: Nel 1986 ero un tredicenne già suonatore di chitarra classica, ma con una voglia ‘ormonale’ di imbracciare una chitarra elettrica (allora era merce rarissima in una cittadina di provincia). Un cugino ben più grande di me, che da Roma passava lunghi periodi a Lanciano e che mi piaceva frequentare in quanto possessore di una bellissima Guild solid body, mi regalò una cassetta ‘educativa’ (per i più giovani: non sto parlando di pomodori o zucchine, si trattava di ‘musicassette’, un supporto audio in voga ai miei tempi) sulla quale erano registrati alcuni brani ‘chitarristici’ che mi avrebbero aperto nuove strade musicali. Sulla copertina non c’erano informazioni di alcun tipo e tali supporti non potevano essere collegati al Commodore 64 (che neanche avevo) e quindi ad Internet per sapere cosa stessi per ascoltare. Perciò, ansioso di nuove scoperte musicali con cui vantarmi con gli amici, infilai la cassetta nel radioregistratore. Il nastro scorreva e venni catturato da una voce che emetteva dei suoni (intonati) accompagnata da una sequenza di strani accordi di chitarra acustica e da una ritmica discreta di batteria; e poi: «’O Giò che voglia ’e te vede’»…
Non mi stupì la lingua, quanto il fatto che il canto stava sulla musica come uno strumento solista; e ciò contrastava con le canzoni che ero abituato ad ascoltare. Riconobbi Pino Daniele: all’epoca era già molto conosciuto e lo si ascoltava spesso, ma distrattamente, in radio; quindi quella voce mi era abbastanza familiare. Sicuramente non lo erano tutti quegli elementi musicali che soltanto diversi anni dopo e con la conoscenza di altra musica sono riuscito a mettere in fila…
Intanto, considerati questi primi ascolti, all’ormone ‘elettrico’ (che è rimasto vivo e vegeto e di tanto in tanto impazzisce) si affiancava la passione per la chitarra acustica, grazie soprattutto a questo strano giro di blues: «I got the blues on me / I got the blues accussì»…
Questo verso è probabilmente la sintesi del mood musicale di Pino Daniele. Il blues… Sissignori, il blues: geograficamente così lontano dal Sud Italia, eppure così naturale nelle intenzioni di Pino Daniele, che ne cattura alcuni tratti essenziali per fonderlo in un ibrido che sa tanto di Napoli quanto di Chicago, nell’idea di anteporre il sentimento, il feeling alla precisione tecnica, di inserire nei brani parti strumentali chiaramente improvvisate, che non tolgono nulla anzi aggiungono senso e significato, nello sviluppare melodia, ritmo e armonia ponendo alla pari tradizione mediterranea e black music americana.
Ecco, tutto questo è blues e tutto questo (e molto altro) è per me Pino Daniele.
I Got the Blues
Trascrizione di Stefano Barbati
L’intro (con lo stesso giro del ritornello) si basa sull’uso di accordi pieni tipicamente jazz, plettrati prevalentemente sui quarti con un forte accento swing. La tonalità è di G minore, anche se viene subito ‘negata’ dal Fm7 nella terza battuta, che forma (insieme al Bb7add13) la classica cadenza II-V-I sul successivo Ebmaj7, per poi risolvere sul D9 che ha funzione di ‘dominante’ sul Gm7 che apre la strofa.
Chitarra Acustica, 02/2015, pp.34-35