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Roberto Menabò – The Mountain Sessions

Roberto Menabò

The Mountain Sessions

A-Z Blues

«Mi hanno sempre affascinato le field recording che le case discografiche organizzavano negli stati del Sud alla ricerca di nuovi musicisti bianchi o neri, di blues o musica tradizionale, da inserire nel loro catalogo dei 78 giri. Quelle registrazioni, seppur approssimative ed artigianali in studi improvvisati nelle stanze di un albergo, hanno ancora oggi un calore unico dato dall’immediatezza dell’esecuzione.»

Con queste parole che accompagnano le note di copertina del suo recente lavoro discografico intitolato The Mountain Sessions, il quarto a distanza di dieci anni da Il profumo del vinile, Roberto Menabò riprende il suo cammino di storytelling nel blues rurale, nel folk delle origini che nacque e si sviluppò nei primi decenni del ’900 nel Sud degli Stati Uniti.

Nelle quattordici tracce ritroviamo quel suono robusto, quel fingerpicking essenziale, quella scanzonata, malinconica poetica degli autori neri o bianchi che fossero, rivissuta con originalità e un pizzico di ironico distacco, perché il nostro è pur sempre un piemontese che vive gli umori e i profumi dell’Appennino emiliano in cui è felicemente emigrato.

Sette sono i brani riproposti, tra cui spiccano autori e interpreti come Cliff Carlisle (“Tom Cat Blues”), Frank Hutchison (“Worried Blues”), Ethel Waters (“Shake That Thing”, deliziosamente rallentata rispetto alla versione di Papa Charlie Jackson al banjo chitarra e impreziosita da un solo di ‘tromba’ imitata con la voce dallo stesso Menabò) o Mississippi John Hurt (“Stack O’Lee Blues”), ai quali sono affiancati altrettanti pezzi strumentali originali dai titoli evocativi, come “Il Settebello sulla direttissima”, “Il ponte romano sulla Dora”, “Il cagnolino di Clifford Gibson”, dove a sorpresa Menabò si allontana dalle sonorità della primitive guitar per esplorare un incedere più ricco e moderno, una piccola trasgressione dell’amore incondizionato per il folk e il blues delle origini.

Tutto il disco è stato registrato in un giorno solo, in presa diretta, spesso ‘buona la prima’, comprese le piccole impurità e imprecisioni che nulla tolgono al tocco poderoso ma fluido di Menabò, che ha dalla sua anche una voce e una capacità interpretativa assolutamente appropriate al genere. Un vero maestro. A riprova – come lui stesso asserisce – che per suonare e cantare bene il blues non c’è etnia o geografia che tengano. L’importante è conoscerne le regole e farne proprio lo spirito.

Gabriele Longo

 

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