(Edoardo Martinez) –
«Non perdere mai un’occasione per suonare insieme con altri, in duo, in trio, in quartetto. Servirà a darti scioltezza e slancio nel tuo modo di suonare. Giudica perciò ogni musicista in rapporto al posto che occupa.»
(Robert Alexander Schumann – 1810/1856)
Le belle parole del noto compositore, sono tratte da un famoso decalogo scritto di suo pugno, che per altro vi consiglio di leggere, per introdurre il prossimo delicato argomento. Ossia la capacità di mettere in contatto la sintonia in modo immediato, e del suonare insieme (sia esso il duetto con un altro strumento, di chitarra, una band o un’orchestra), con il pubblico che ci ascolta. Oltre a dover sincronizzare il proprio movimento, c’è anche l’aspetto di carattere più sensibile – affettivo, dovuto a un tipo di ‘contagio emotivo’ tra i musicisti che suonano insieme.
Per spiegare questi fenomeni, da un punto di vista cerebrale, si è fatto riferimento alla percezione-azione sul rispecchiamento dei neuroni. Quando i musicisti suonano insieme, l’attività delle loro onde cerebrali si sincronizza. Chiunque abbia mai suonato in un gruppo o un orchestra avrà familiarità con il fenomeno; l’impulso delle proprie azioni non sembra venire dalla singola mente, ma sembra piuttosto essere controllato dall’attività di coordinazione del gruppo.
In effetti, le relazioni intercerebrali emergono quando si suona contemporaneamente, questo è stato avvalorato dagli scienziati del Max Planck Institute for Human Development di Berlino. Lo studio ha dimostrato che usando degli elettrodi, per tracciare le onde cerebrali di chitarristi che suonano in coppia, gli studiosi hanno osservato delle differenze sostanziali nell’attività cerebrale di ciascun musicista, a seconda che precedessero o seguissero il loro compagno.
A parte l’esperimento scientifico, invece questo suggerisce qualcosa di più spettacolare, i due cervelli si sincronizzano per sostenere la coordinazione dell’azione interpersonale. Questo è il risultato auspicabile, indipendentemente dalle parti che si suonano, nessuna è più importante dell’altra, ma insieme contribuiscono alla magia del suono prodotto. Quest’ultimo aspetto della musica mi ha sempre affascinato, e mi sono chiesto in particolare, se questa sintonizzazione possa avere anche effetti benefici per la persona nella sua globalità e per il pubblico che ascolta.
E immediatamente riaffiorano i ricordi legati alle mie esperienze fatte negli stati uniti, partecipando ad alcuni grandi raduni e festival di musica di tradizione americana. La prima cosa che salta alle orecchie (e non agli occhi) è la gran quantità di note che si percepiscono nell’aria, praticamente si suona d’appertutto e ogni scusa è buona per jammare. Questo è lo spirito giusto per suonare insieme, condividere la passione per la musica, e magari sentire o imparare dagli altri qualcosa di nuovo. Ed è prorio questa la cosa che mi manca di più, della situazione attuale che stiamo vivendo.
Il fenomeno a cui abbiamo assistito in questi giorni dei Flash Mob e delle dirette musicali in rete dimostra quanto sia importante la condivisione musicale. Oltre la mera abilità musicale in sé, la musica può essere utilizzata anche come uno strumento terapeutico vero e proprio. L’ambiente emotivo creato in queste situazioni può essere definito “empatico”, e ci aiuta ad accrescere le nostre capacità relazionali e in chi ne è partecipe, ma soprattutto nell’affrontare, e a raccontare il forte disagio di restare chiusi dentro casa, per un tempo così prolungato e indefinito.