«Un giorno tutto questa sarà tuo!»
So che avrei dovuto dirlo. A tutti gli adulti tocca almeno una volta di fare i conti con il proprio percorso, per valutarne l’entità, la vastità o i limiti. Guardo le mie chitarre, l’orizzonte del mare, il mio destino pigro, come sempre addormentato su una scatola di scarpe. Nell’incertezza della scelta, mi pongo innumerevoli domande. La vita serve per accumulare e poi abbandonare? Chi prima di me l’ha già fatto e dopo di me lo farà? Passiamo il tempo a costruire pensando di elevare, consolidare, preparare il terreno a chi verrà. Da piccolo sono stato educato col principio della responsabilità: «Prima il dovere, poi il piacere». Dai tempi della scuola subisco questa illogica, devastante sentenza. Quante cose mi sono perso per far posto alle priorità, per seguire impegno e disciplina e – ogni volta che ho acchiappato qualcosa – l’ho lasciata poi sfuggire, perché in realtà non la volevo. Sembra follia? Ma quanti lavorano e sfogano la propria insoddisfazione comprando su Amazon inutilità a poco prezzo, e tutto solo per dare un senso al sacrificio. È complicato far finta di aver bisogno di cose di cui potremmo fare a meno, eppure la distrazione causata dal dovere, che ci fa ignorare il piacere, ci ricompensa virtualmente con gratificazioni materiali, per darci l’illusione che i sogni possano diventare realtà. Ma dopo ogni sogno, eccone un altro ancora più inutile del precedente, che faticheremo a realizzare se non aumentando la dose di dovere e diminuendo quella del piacere. Sapete come me ne sono accorto? Facendo l’ultimo trasloco. Buona parte degli oggetti indispensabili a cui avrei difficilmente rinunciato sono ancora imballati. Scatoloni ben evidenziati, con su scritto il mio nome, sonnecchiano ormai da tempo in fondo a una cantina. E nessuna ragione o necessità mi spinge ad aprirli, se non la curiosità sulla loro immaginata indispensabilità, tanto da meritare una particolare evidenza e cura nel trasloco: «Questi no, metteteli lì, sono miei, sono importanti…» I segreti custoditi in quei cartoni fanno compagnia alle centinaia di libri che per anni mi hanno circondato, regalandomi il vezzo dell’intellettualità che – ahimè – non consiste nell’esposizione, ma nella conoscenza. Così si accatastano i ricordi e si perde di vista la libertà. Perché i ricordi ti tengono prigioniero, ti insinuano perpetue riflessioni, ti accompagnano rallentandoti il passo, perché più sono e più fai fatica a trasportarli. Dopo cinque mesi dall’ultimo trasloco, quante chitarre ho estratto dalla loro custodia? Tante quante ne ho suonate: due! E le altre? Dormono tranquille nel giardino dei ricordi.
Buon fingerpicking!
Reno Brandoni
Ciao Reno. Ho sempre letto con grande piacere le tue “riflessioni” scritte. Li ho sempre considerati pensieri ad alta voce. Li ho condivisi praticamente sempre. Quasi fossero miei. Eri un quasi mio vicino di casa..io Modenese tu a Bologna.
Ora ti sei allontanato un po’. Sapere che la persona che mi ha fatto muovere i primi passi nel fingerpicking con “Stella artois” era a tiro di macchina mi piaceva.
Ci siamo incontrati 3 volte. Una allo Stone’s a Vignola dove teneste un concerto tu e Gavino. Una al Mef a Fiorano (con tanto di foto) e una a Cremona alla fiera al tuo stand. Non certo un’amicizia profondissima, però mi sento come si fosse allontanato un vecchio amico.
Mi auguro di incontrarti di nuovo magari in mezzo a un mare di chitarre per due piacevoli chiacchiere.
Spero anche che un giorno tu scriva un libro su Reno Brandoni. Con tutte le riflessioni, i pensieri casomai fatti davanti ad una finestra sul mare e perché no anche sulla musica. Da quel po’ che trapela da ciò che scrivi, credo sarebbe un bel libro che varrebbe la pena di leggere.
Buona fortuna.
P.s. Non è che anche Gavino è espatriato da quelle parti???
Grazie, è un vero piacere scoprire che qualcuno ti segue nei tuoi ragionamenti.
Speriamo di rivederci presto.
Gavino è espatriato anche lui 🙂
reno