Il segno più evidente della grande importanza che l’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana ha ormai acquisito sul piano internazionale, in questa edizione della manifestazione, è la lista dei titolari delle conferenze di liuteria che si sono tenute nella Sala delle Capriate della Fortezza Firmafede: David Doll del Custom Shop Martin, Jean Larrivée, Linda Manzer, John Monteleone, Ron Huisen di Taylor Guitars, il giornalista John Thomas di The Fretboard Journal, Bill Collings, Richard Hoover di Santa Cruz Guitars, gli italiani Samuele Calamassi di Hobo Guitars e Lucio Carbone. Nelle pagine successive, parleremo inoltre dello Heart Music All Day Acoustic Show, un evento organizzato nell’ambito del festival dall’azienda Heart Sound e da Fingerpicking.net, con la partecipazione di numerosi chitarristi italiani. Naturalmente faremo anche un reportage dell’esposizione, con la mostra “Il mandolino nel mondo”, e dei corsi di formazione di liuteria. Questo primo articolo è invece dedicato al racconto dei tre principali concerti serali che si sono svolti sul palco centrale della Fortezza.

Dopo l’anteprima del concerto gratuito della sera di mercoledì 28 maggio, meritoriamente consacrato a una rappresentanza di musicisti selezionati dalle scuole e dai centri musicali del territorio della provincia di La Spezia, e impreziosito dalla partecipazione del bravissimo Ken Nicol, già conosciuto a Sarzana e membro per diversi anni della Albion Ban e degli Steeleye Span, il Meeting ha aperto ufficialmente i battenti giovedì 29 maggio con la finale del concorso New Sounds of Acoustic Music, Premio Carisch 2014 in memoria di Stefano Rosso. Non è più una novità l’alto livello qualitativo raggiunto dai partecipanti a questa competizione. E molto combattuta è stata soprattutto la contesa tra i chitarristi solisti, che è stata vinta da Pietro Posani con un arrangiamento di “September” degli Earth, Wind & Fire e la composizione originale “If”, in un classico DADGAD à la Pierre Bensusan. Nell’equilibrio generale, una menzione particolare merita Silvia Porciani, che ci ha tenuto a esibirsi malgrado il non buono stato di salute, dimostrando coraggio, groove e personalità. I cantautori-chitarristi si sono divisi dal canto loro tra chi attribuisce grande importanza alla musica e chi punta piuttosto sull’espressione; e la giuria, nella quale figuravano anche Linda Manzer e Diane Ponzio, ha premiato la musica di Camilla Conti, esponente di un credibile songwriting in inglese con ariose armonizzazioni in accordatura aperta.
L’omaggio a Stefano Rosso è proseguito nel concerto serale con Andrea Tarquini, che ha presentato alcuni brani dal proprio album Reds – Le canzoni di Stefano Rosso, di cui abbiamo parlato ampiamente nei numeri di settembre e dicembre 2013. Tarquini ha cantato e suonato in trio con Rino Garzia al contrabbasso e Paolo Monesi al mandolino e alla fisarmonica, in uno stile pulito, elegante e talvolta scanzonato. Nel finale una piccola ‘concessione alla platea’ con “Una storia disonesta”, quella dello ‘spinello’, che per eccesso di pudore non era stata inserita nel disco. E per concludere, contando sull’ambientazione roots della musica proposta e sulle conoscenze comuni, un’ospitata di gran lusso con “Walk Beside Me” eseguita insieme a Tim O’Brien, in anticipazione della prossima serata ‘americana’.

Il set successivo ha visto il gradito ritorno in Italia, dopo la sua ricomparsa ad Acoustic Franciacorta nel 2008, del chitarrista messinese Antonio Calogero, trapiantato negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ’90. Diplomato al Conservatorio di Roma, Antonio ha inciso il suo disco d’esordio Caleidoscopio (DDD, 1991) per la collana Strumento di Riccardo Zappa, passando poi alla Acoustic Music Records di Peter Finger con La rosa del deserto nel 1996. Negli Stati Uniti è stato accolto più volte nei tour della International Guitar Night fondata da Brian Gore, di cui ha prodotto il secondo album solista Legacy per la Acoustic Music Records nel 2001. Nel 2009 ha realizzato il suo ultimo CD Danza multietnica, coprodotto da Alex De Grassi per la Suono Records. Si esibisce da solo, in duo con il leggendario fiatista degli Oregon, Paul McCandless, com’è avvenuto a Sarzana, o in ensemble con l’aggiunta dei percussionisti Davide Bernaro e Andrea Piccioni. Nel concerto ha presentato una serie di brillanti brani originali, “A Life Theme”, “May ormai”, “Mergellina” e “Danza multietnica”, che lo confermano come un chitarrista-compositore di grande serietà e rigore, dotato di una tecnica notevole tra classica, world music con venature mediterranee e fingerstyle moderno.
È la volta dell’atteso premio Corde & Voci per Dialogo & Diritti, rappresentato in questa edizione dall’opera di uno scultore del luogo, Giuliano Tomaino, che raffigura un simbolo caro all’artista, la mano, allungata per l’occasione come un manico di chitarra. Il premio è stato assegnato a Bob Geldof e, dopo la tragica recente morte della figlia Peaches, forse è stato qualcosa di utile per tornare alla vita.

Geldof fondò nel 1975 il gruppo dei Boomtown Rats, con il quale è spesso salito nelle posizioni alte delle classifiche inglesi, ma è conosciuto in tutto il mondo soprattutto per il suo impegno a favore della lotta contro la fame e le malattie in Africa. Nel 1984, assieme a Midge Ure, ha scritto la canzone “Do They Know It’s Christmas?”, che è stata cantata dai migliori artisti britannici dell’epoca riuniti nel gruppo Band Aid. Nel 1985 si è dedicato all’organizzazione del Live Aid e nel 2004 è stato nominato membro della neonata Commissione per l’Africa. Nel 2005 ha promosso il Live 8, una serie di concerti organizzati nelle nazioni appartenenti al G8, in supporto alla campagna contro la povertà. Come già Francesco Guccini due anni fa, anche Bob ha scelto di non cantare qualche canzone in questa circostanza. Forse con un po’ di umiltà ha detto: «La chitarra acustica è uno strumento unico, perché puoi essere un ‘maestro’, come abbiamo ascoltato questa sera, opppure puoi essere un suonatore genuinamente ‘tremendo’ come me, ma anche se suoni veramente male come me, questo strumento generoso ti permette di scrivere canzoni che possono cambiare un po’ le cose. Questo non è vero per il violino: se sei un pessimo violinista, il tuo suono fa schifo; se sei un pessimo sassofonista, la gente ti uccide! Ma se sei un pessimo chitarrista, la gente ti tollera. Perciò, se possibile, dovreste usare questa tolleranza per dimostrare che potete tollerare altre persone, che potete essere gentili, generosi, come questa città e l’evento di questa sera sono stati con me». E ha aggiunto: «Avevo 15 anni ed ero un ragazzo perso. Ho conosciuto una persona che aveva una chitarra, era una persona molto generosa e mi permetteva di suonarla ogni mercoledì pomeriggio per due ore. Io sono mancino, ma lui non mi permetteva di invertire le corde, così ho dovuto imparare a suonare a rovescio! Però la chitarra di questo amico mi ha salvato la vita, e sono molto felice di essere riuscito a usare questo strumento, penso, per salvare la vita di altre persone».

La serata si è poi conclusa con un robusto set di rock-blues elettro-acustico, che ha ben scaldato gli animi. Al centro la personalità sanguigna e trascinante di Dirk Hamilton, cantautore statunitense di qualità, dalla lunga carriera iniziata nel 1976, che canta con una bella voce ruvida di grande espressività e si accompagna con una energica chitarra ritmica da rock acustico e un’armonica blues. È stato spesso paragonato a musicisti come John Hiatt e Van Morrison, ma la stima che ha ricevuto non si è tradotta in una adeguata riuscita commerciale. La vita ha voluto che trovasse anche una sponda per le sue temporanee peregrinazioni in Italia, dove dal 2005 collabora con The Bluesmen, un gruppo di Ferrara sorprendentemente bravo. Il chitarrista Roberto Formignani si fa valere principalmente su una Telecaster ben tirata e amplificata con Fender Twin e Deluxe 85, con un fraseggio che sa unire il linguaggio blues a elementi tecnici molto moderni, a tratti quasi da shredder. Il tastierista Massimo Mantovani mostra una lunga esperienza jazz alle spalle. Il bassista Roberto Morsiani, oltre all’esperienza jazzistica, vanta un periodo di collaborazione con l’Equipe 84, mentre il batterista Roberto Morsiani viene da una collaborazione con gli Skiantos. Insieme hanno suonato composizioni di Hamilton che vanno dal 1996 a oggi, alcune delle quali scritte in collaborazione con Formignani e Mantovani.
Tutta la prima parte della serata di venerdì 30 maggio è all’insegna della tradizione americana e in particolare della musica bluegrass. Si inizia con il set di Paolo Bonfanti & Martino Coppo, la cui godibilità è pienamente prevedibile. I due sono qui per presentare il loro recentissimo e già celebrato disco insieme Friend of a Friend, covato per quasi cinque anni e che il nostro Mario Giovannini ha ottimamente recensito su Chitarra Acustica di aprile. Sono in splendida forma, con quella carica in più di partecipazione che un’esibizione dal vivo porta con sé quando le cose vanno per il verso giusto. E la ciliegina sulla torta arriva con l’invito sul palco di Tim O’Brien con sua moglie Jan Fabricius: il caso vuole che anche O’Brien, nel suo recente album Memories and Moments in duo con un altro fuoriclasse come Darrell Scott, abbia eseguito la intensa ballata “Paradise” di John Prine, come Paolo e Martino in Friend of a Friend. Inevitabile quindi suonarla tutti insieme in amicizia, con la voce e il violino di Tim e le armonie vocali di Jan. Bellissimo.
Ma l’anima di questa serata di roots music nasce in particolare dalla seconda edizione del Bluegrass Meeting, che ha animato per tutta la giornata il palco allestito nel Fossato della Fortezza Firmafede, in prossimità dell’ingresso, con la partecipazione di numerosi musicisti e gruppi provenienti da tutta Italia, impegnati in performance, laboratori e jam session. Si sono tenuti laboratori di banjo a cura di Marco Pandolfi e Nirvano Barbon, di dobro a cura di Paolo Ercoli, di chitarra a cura di Leo Di Giacomo. E lo stesso Tim O’Brien si è esibito sul palco e ha tenuto un workshop di mandolino. Danilo Cartia, che ha coordinato con dedizione l’intero raduno, ha introdotto poi nel concerto serale la Italian Bluegrass Jam, selezione di musicisti che hanno partecipato all’evento.

Con lui sul palco centrale della Fortezza è salito, per cominciare, un gruppo di base formato dal chitarrista della propria band, Flavio Pasquetto, dal dobroista degli 0039, Paolo Ercoli, e dal contrabbassista dei Bluegrass Stuff, Icaro Gatti. Insieme hanno suonato “All Just to Get to You” di Joe Ely e “Williams” dello stesso Cartia. Quindi si sono uniti anche i banjoisti Nirvano Barbon e Marco Pandolfi, i chitarristi Leo Di Giacomo e Luca Bartolini, e i mandolinisti Riccardo D’Angelo, Martino Coppo e Paolo Monesi per un’esecuzione in crescendo dei classici “Will the Circle Be Unbroken” e “White Freightliner Blues” di Townes Van Zandt. Per concludere al culmine dell’entusiasmo con l’ingresso ancora di Tim O’Brien in “Nine Pound Hammer” di Merle Travis.

Ed è la volta del set personale di Tim O’Brien, che è stato apprezzato finora per la disponibilità in tante situazioni del festival e rappresenta il fiore all’occhiello di questa edizione. Ha militato a lungo nel gruppo di ispirazione bluegrass degli Hot Rize, a fianco del compianto Charles Sawtelle, per poi dedicarsi definitivamente alla carriera solista intorno al 1984. È un musicista a tutto campo: canta benissimo con un’impostazione derivata dallo stile tradizionale, scrive canzoni apprezzate da tanti, suona con maestria chitarra, banjo, mandolino, violino. Hanno interpretato sue composizioni artisti del calibro di Kathy Mattea, Dixie Chicks, New Grass Revival e The Seldom Scene; e lui ha inciso tra gli altri anche con Steve Martin, The Chieftains e suonato dal vivo con la band di Mark Knopfler. Quello che innanzitutto colpisce in lui è l’assoluta mancanza di ostentazione, che evidentemente riflette la sua indole molto gentile e mite. Pur essendo un multistrumentista di indubbio valore, non concede mai nulla a un virtuosismo eccessivo; punta tutto sull’espressione, sulla poesia, sulla classe. E quale che sia lo strumento che sta suonando, quale che sia il genere musicale che sta affrontando, sempre viene fuori la sua stessa impronta stilistica, la sua classe appunto. Da questo punto di vista è stato incredibile l’equilibrio dinamico e l’amalgama che è riuscito a creare tra la voce e il violino nel gospel “I’m Working on a Building” dal repertorio di Bill Monroe. In conclusione del suo set ha invitato sul palco Mike Dowling, un altro musicista forse poco appariscente ma di grande sostanza, per due arrangiamenti impeccabili dei classici “Make Me a Pallet on Your Floor” e “Black Mountain Rag”.

L’atmosfera cambia completamente con il concerto finale della serata. Il nostro nuovo amico Finaz si è preso la briga per l’occasione di mettere in piedi uno ‘strano trio’ con Fausto Mesolella e Max Gazzè. I tre hanno suonato alcuni brani della loro produzione personale, in particolare di Gazzè, inframmezzandoli a numerose cover di varia provenienza, dalla canzone napoletana al tango di Piazzolla, dai Cream a Hendrix, dai Beatles ai Police. Il tutto dando molto spazio all’improvvisazione, in un’atmosfera rilassata che ha dato spesso adito a toni scanzonati e gag. Mesolella si è particolarmente distinto lasciandosi andare a ironici fraseggi superdistorti e riferimenti improbabili, come l’improvvisa citazione di “Papaveri e papere” nel bel mezzo dell’esecuzione di “Purple Haze”. E alla fine Gazzè, dopo “Cara Valentina”, ha lanciato il tema della “Pantera rosa”, sulla cui struttura sono stati inseriti via via “Miss You” dei Rolling Stones, l’effetto tamburi sulla chitarra du Finaz, la musica dell’adunanza militare, “Smoke on the Water”, “Satisfaction” e chi più ne ha più ne metta! Insomma, come non mi sembra che accada spesso sui grandi palchi italiani dei circuiti più rinomati, si sono visti tre musicisti muoversi in totale libertà e divertirsi a pieni polmoni sul palco, facendo di rimando divertire tutto il pubblico con gusto e piena soddisfazione.
La serata del 31 maggio si apre con un omaggio al mandolino nella proposta dell’Ensemble Mereuer, quintetto formato da Sonia Maurer (mandolino), Luca Mereu (mandola), Corrado Celeste (chitarra), Paolo Benelli (contrabbasso) e Felice Zaccheo (secondo mandolino). L’idea dei cinque componenti, che portano avanti singolarmente diversi percorsi artistici, è quella di promuovere presso un pubblico più vasto, attraverso il lavoro del gruppo, il repertorio dedicato agli strumenti a plettro. Un evento propizio a questo scopo è stata la dedica da parte di Ennio Morricone di una sua composizione dal titolo “Serenata passacaglia” a Sonia Maurer. E Serenata passacaglia – Brani moderni per quintetto a plettro, pubblicato dalla III Millennio nel 2002, è appunto l’album che testimonia la ricerca comune dell’Ensemble Mereur. Oltre al pezzo di Morricone, il gruppo ha suonato trascrizioni di “Golliwogg’s Cake-Walk” di Claude Debussy dalla suite per pianoforte Children’s Corner, “Night-Club 1960” da Histoire du tango per violino e chitarra di Astor Piazzolla, “Huapango criollo” dalla Suite mexicana di Eduardo Angulo, “Ruby Love” di Cat Stevens, “Il pianino delle meraviglie” di Nicola Piovani dalla colonna sonora di Good Morning Babilonia dei fratelli Taviani, e le composizioni originali “Light Pluckin’” di Sonia Maurer in stile chorinho e “Ballos” dalla Suite greca di Luca Mereu. È stato un gradevolissimo richiamo contemporaneo a immagini e sonorità di altri tempi, cioè la pratica delle orchestrine a plettro, che sarebbe bello tornassero di uso comune.
Fin da quando si affermò proponendo parodie di canzoni celebri al Maurizio Costanzo Show, il ligure Stefano Nosei stupiva per la sua bravura come chitarrista, ben al di sopra delle aspettative per un comico parodista. E adesso lo ritroviamo, grazie alla sua scoperta del Meeting di Sarzana, nella veste di serio e appassionato interprete delle canzoni di James Taylor. Lo accompagna in questo progetto, alla chitarra sia acustica che elettrica, Andrea Maddalone, collaboratore di molti grandi nomi della musica italiana tra cui i New Trolls, Mario Biondi, Zucchero e Sarah Jane Morris. I due sono ben assortiti, perché Nosei è molto aderente all’originale, e molto bravo in questo, mentre Maddalone si concede maggiori libertà sia nei ricami di chitarra che nelle armonie vocali, aggiungendo un motivo d’interesse in più all’operazione. L’amore per James Taylor è talmente forte, che i due a un certo punto si danno anche alla ‘taylorizzazione’, cioè all’interpretazione à la JT di canzoni di altri artisti: Andrea inizia con l’inattesa “Barbie Girl” degli Aqua, mentre Stefano addirittura traduce in inglese “Tanti auguri” di Raffaella Carrà, dove «Com’è bello far l’amore da Trieste in giù» diventa «It’s nice making love from Trieste south»… È chiaro che qui affiorano possibili sviluppi cabarettistici del progetto, che probabilmente finiranno per condire i loro spettacoli in giro per l’Italia. Ma, a parte il breve sketch, qui a Sarzana è stata soprattutto musica, godibilissima e ben eseguita.
Dalla West Coast di James Taylor alla roots music di Mike Dowling, che quest’anno è stato l’animatore principale dei corsi di didattica chitarristica accanto a Davide Mastrangelo. Dowling ha suonato in passato con la band di Vassar Clements, collaborato con Jethro Burns e Joe Venuti, lavorato per lungo tempo in studio a Chicago e a Nashville, dove ha scritto canzoni e suonato per artisti come Kathy Mattea ed Emmylou Harris. Negli ultimi anni si è ritirato con sua moglie Janet tra i monti del Wind River nel ‘selvaggio’ West, dedicandosi principalmente alla carriera solista e all’insegnamento nella sua Wind River Guitar School e in diversi guitar camp. Intrattiene un rapporto di collaborazione con la National Reso-Phonic Guitars, che lo ha portato a promuovere la riedizione dello storico modello El Trovador con corpo in legno, e a ideare uno specifico pickup Hot-Plate per le chitarre resofoniche. Nel suo set molto ben articolato ha mostrato una musicalità tranquilla e cristallina, come la sua vita in mezzo alla natura, non vistosa ma piena di esperienza e attenta ai dettagli, a cavallo tra country blues, ragtime, vintage jazz. Esemplari il suo arrangiamento suggestivo e originalissimo di uno standard folk molto noto come “The Cuckoo”, e la sua versione di “Caravan” di Duke Ellington, piena di citazioni e giocata tra lo stile della plectrum guitar jazzistica e il fingerpicking.
Diane Ponzio la conosciamo bene, è diventata nel tempo una beniamina del festival. Oltre a rappresentare un costante punto di riferimento circa la storia delle chitarre Martin, quest’anno ha partecipato ai corsi di formazione con un laboratorio di ukulele e si è divisa tra questo concerto serale e le esibizioni a porte aperte della giornata di domenica. Con la sua fedele Martin signature, la jumbo JDPII, si è confermata cantautrice ‘classica, che sa affrontare i temi della vita comune con grande partecipazione umana, attraverso una voce energica e una musicalità che affonda nelle radici folk-blues con accenti funky, reggae, di bossa nova, in un fingerstyle con armonizzazioni sofisticate, bassi ‘strappati’ ed effetti percussivi della mano destra sulle corde. Accanto al suo repertorio già conosciuto in precenti occasioni, ha presentato alcune canzoni recenti dal suo ultimo album Take the Hypotenuse, pubblicato dalla Soulfeggio Music nel 2012.

E la serata si conclude con Teresa De Sio, una delle voci più importanti dello storico movimento italiano di riproposta del canto popolare e di creazione di nuove canzoni ispirate alla tradizione, un movimento musicale con cui Alessio Ambrosi cerca lodevolmente di aprire dei contatti, per arricchire gli orizzonti della nostra piccola grande ‘nicchia’ della chitarra acustica. E Teresa, a distanza ravvicinata dall’uscita del suo recente album Tutto cambia, si presenta in una versione particolarmente adatta per l’occasione, il progetto “Acustica”, nel quale canta e suona la chitarra accompagnata da Sasà Flauto alla chitarra acustica, Her al violino e Pasquale Angelini al cajon e alle percussioni. In questa efficace dimensione essenziale, il quartetto ripercorre vecchi e nuovi brani di Teresa, risalendo fino a “Quanno turnammo a nascere” di Carlo d’Angiò dall’album omonimo dei Musicanova del 1979. Un omaggio visibilmente sentito viene rivolto inoltre al compianto cantautore pugliese Enzo Del Re, con una rilettura del suo testo “Io t’adoro e ti ringrazio”. Tra i brani del nuovo disco spiccano “’Na strada miezzo ’o mare”, riuscita traduzione in napoletano di “Crêuza de mä” di Fabrizio De André, e la canzone del titolo “Tutto cambia”, ripresa in coro dal pubblico, traduzione in italiano di “Todo cambia” di Julio Numhauser dal repertorio di Mercedes Sosa. Tra le nuove composizioni di Teresa ricordiamo “Brigantessa”, manifesto canoro del proprio ‘brigantaggio’ intellettuale, e “Canta cu’ me”, la «Tarantella ‘e chi s’è scucciato»… Sulle ali dell’entusiasmo, si va al gran finale con una carrellata di tarantelle, tra cui l’indimenticabile “Tarantella di Sannicandro” da Garofano d’ammore di Eugenio Bennato e Carlo d’Angiò del 1976.
Durante l’esposizione nella giornata di domenica 1° giugno si sono poi susseguite numerose esibizioni sul palco centrale, tra le quali ha spiccato Dave Goodman, fresco dell’album No Rest For The Wicked registrato per la Acoustic Music Records, che è recensito in questo numero. Ricordiamo poi: Yuri Yague, vincitore del New Sounds of Acoustic Music 2013 nella sezione “chitarristi”, e Samuele Borsò, vincitore nella sezione ‘cantautori-chitarristi’; Gabor Lesko, che ha presentato il suo nuovo disco Sweet Winged Fingers; il sipario “Ladies & Guitars” con le già affermate cantautrici americane Elisabeth Cutler e Diane Ponzio, e la grande promessa friulana Elsa Martin accompagnata da Marco Bianchi; infine il Trio Hermanos con Max Puglia, Nico Di Battista e Francesco Cavaliere. Nel Fossato della Fortezza si è svolto inoltre il Bob Brozman Memorial Blues Place con Simone Baggiani, The True Blues Band e Pulin & The Little Mice, realizzato in collaborazione con l’organizzazione “Blues Made in Italy”. Senza dimenticare naturalmente i concerti nelle strade e piazze del centro storico di Sarzana, con Marco ‘Blues Boy’ Fulmine, Fabio Lossani, Gabriele Coltri, Roberto Carlotti.
Andrea Carpi