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Musicista alla corte di Paolo Conte

Nunzio Barbieri

musicista alla corte di Paolo Conte

di Sergio Arturo Calonego

Le note del pentagramma sono infinite. Erano anni che l’amico Sandro Nola, chitarrista e maestro di musica, mi parlava, e sempre in modo lusinghiero, di Nunzio Barbieri e del progetto in cui era coinvolto, Manomanouche. Quello che non immaginavo è che Nunzio in realtà lo avevo visto suonare tantissime volte in concerto, dal momento che suona la chitarra nell’orchestra di Paolo Conte. E quindi è venuto fuori, sempre senza saperlo, che avevo visto all’opera anche gli altri elementi di Manomanouche, vale a dire Massimo Pitzianti, Luca Enipeo e Jino Touche, anch’essi componenti dell’orchestra contiana. Di questo tratta questa simpatica intervista, che nasce da una telefonata in cui abbiamo deciso di comune accordo di evitare discorsi troppo tecnici sulla chitarra. E Paolo Conte? Nessun mistero svelato, non illudetevi: noi che amiamo l’Avvocato di Asti, lo difendiamo con amore.

Ciao Nunzio, iniziamo con la domanda di rito: quando, come e soprattutto perché la chitarra è entrata nella tua vita?

Per uno scherzo del destino. Io non avrei mai pensato di diventare un musicista; un giorno, i miei genitori mi regalarono a undici anni una chitarra, usata, non sapendo come utilizzarla. E quando sentii per la prima volta un’esecuzione chitarristica mi dissi: ma questo strumento io l’ho a casa!

 Cosa ti ha fatto innamorare della cultura musicale degli zingari manouche?

Intanto rimasi estremamente colpito dall’arte musicale di Django Reinhardt quando ascoltai nel 1975 Il disco d’oro di Django Reinhardt [Vogue, 1967?]. Nulla sapevo delle sue origini manouche. La cultura degli zingari manouche, affascinante, non mi ha mai indotto ad esserne un epigono; semmai ha stimolato la mia creatività squisitamente italiana. E quindi a elaborare, assieme ad altre culture musicali, anche quella.

 Il brano “Sintology” [dall’album omonimo dei Manomanouche, 2006] ritmicamente parla manouche, ma la fisarmonica mi riporta ad atmosfere d’antan, una sensazione di velluti, vorrei quasi dire di sofà… Ci vuoi parlare di questo viaggio tzigano con i Manomanouche?

Il nostro viaggio è un’esperienza mediterranea, condivisa con grande passione e crescita artistica in evoluzione costante. Il brano “Sintology” è una composizione dal gusto francese degli anni del Gruppo dei Sei, che raccoglieva l’eredità di Erik Satie con Darius Milhaud, Francis Poulenc e gli altri. Il ritmo è di matrice swing veloce: come si dice in ambiente jazz, fast. La fisarmonica è uno strumento multiculturale, il cui timbro ci porta in tanti luoghi del mondo. Poi se la suona Pitzianti…

La musica manouche vive da sempre di tradizione orale e si nutre di virtuosismi. Come cambia l’approccio del chitarrista fra un contesto combo e quello più controllato e guidato dallo spartito della grande orchestra?

La musica è così vasta e misteriosa, che il musicista appassionato si fa cullare da ogni ventata e da ogni carico di profumi di suoni. A prescindere dagli organici. E poi anche le nostre improvvisazioni sono il frutto della ‘composizione in tempo reale’, ovvero di partecipazione e tensione emotiva.

 “Efy” è un brano bellissimo: ne ho scoperto per caso su YouTube una versione eseguita da Manomaouche con il Trio Debussy: ci vuoi parlare dell’incontro di questi due progetti?

Al compleanno dei settant’anni del maestro Paolo Conte, conoscemmo anche il Trio Debussy. Ne nacque subito un’intesa meravigliosa, che si concretizzò con il CD Complicity [2009]: la composizione “Efy” è un brano a cui sono affezionato particolarmente… e non solo io.

Il lettore di Chitarra Acustica è tipicamente un amante della chitarra: vuoi regalarci due parole sulla tua strumentazione e su come cambia l’approccio al soundcheck, quando suoni in formazione combo rispetto alla grande orchestra?

Sembrerà una boutade… ma cerco sempre chitarre ‘che suonino bene’, che funzionino e soddisfino anche l’orecchio dei fonici. Ho il mio angelo custode della chitarra, ovvero il mio liutaio Massimo Scaglione.

 Da amante di Paolo Conte e frequentatore dei suoi concerti, trovo straordinariamente efficace – e per nulla scontata – l’amalgama che avete raggiunto nella grande orchestra: che effetto fa suonare in una macchina perfetta?

Come dice il maestro: «Ho l’orchestra più bella di tutto il globo!» E se lo dice lui è un complimento stupendo.

 Il mondo della musica attraversa un periodo di grandi cambiamenti, direi sotto tutti i punti di vista: dal tuo punto di osservazione in che direzione sta andando la musica?

Se mi permetti, la musica occidentale – colta o non – ha subìto da secoli cambiamenti continui, crisi, riprese e nuova vitalità. Anche oggi, nonostante un certo odore di decadenza, sotto sotto c’è un fiume pieno di nuove idee e di fresca voglia di fare della bella musica. La musica è nell’Universo e nella nostra vita: tutto pulsa di musica e di bellezza, anche quando ci sembra che il gusto estetico subisca una crisi.

 Regalaci una perla di saggezza, un consiglio ‘da zio’, per i giovani che si avvicinano al mondo della chitarra e più in generale della musica.

Mi congedo da questa interessante intervista rivolgendomi ai giovani: gli strumenti non sono dei feticci; se io potessi ne suonerei almeno dieci. La musica è un’esperienza di grande gioia, dedizione e – soprattutto – passione. Non ci sono scorciatoie, l’uomo nasce e si sviluppa un po’ per volta, e così avviene anche per la musica, la quale coinvolge tutto l’essere. Direi così: meno YouTube e più partecipazione diretta con lo strumento e la vita reale. Questo è ciò che pensa lo zio!

 Nunzio, grazie per la tua disponibilità, per la tua simpatia. Ci vediamo presto in concerto…

Sergio Arturo Calonego

 

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