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Un’introduzione al banjo (3) – L’accordatura e come sceglierlo

L’accordatura

Un discorso a sé stante merita l’accordatura del banjo, da sempre enigma per chi si avvicina per la prima volta a questo strumento.
È il caso di partire dall’accordatura principale del banjo a 5 corde che, per questo strumento, si è imposta nella prima metà del secolo XIX. È il caso anche di dire che inizialmente si riscontra un notevole numero di accordature, che costituiscono però quasi sempre una variante di un’unica serie di intervalli al fine di adattare lo strumento alla voce. L’accordatura in Do (la cosiddetta C tuning, gCGBD) prevede che tra la quarta e la terza corda vi sia un intervallo di quinta giusta, tra la terza e la seconda un intervallo di terza maggiore e tra la seconda e la prima un intervallo di terza minore; la quinta corda (chanterelle) è intonata come la prima al quinto tasto. Il metodo per banjo Gumbo Chaff’s Complete Preceptor for the Banjo scritto da Elias Howe nel 1848 indica come accordatura di riferimento principale usata dai minstrel in quel periodo la cFCEG, e come accordatura alternativa la dGDF#A. Quest’ultima accordatura è quella invece indicata come standard da Thomas F. Briggs nel suo Briggs’ Banjo Instructor del 1855. Secondo Pete Seeger l’accordatura che si stabilizzò attorno al 1850 fu la eAEG#B; è questa in effetti l’accordatura consigliata da Philip J. Rice (Phil. Rice’s Correct Method for the Banjo, 1858), da James Buckley (New Banjo Book, 1860, che consiglia anche la dGDF#A per suonare nelle tonalità di Re e di Sol) e da Frank B. Converse (New and Complete Method for the Banjo, 1865). Va anche detto che, in questo periodo dell’Early Banjo, si trovano parecchie varianti, tutte tese ad accomodare lo strumento alle esigenze di una particolare tonalità; frequente era, ad esempio, anche la pratica di alzare di un tono la quarta corda.
L’imporsi della C tuning (gCGBD) avvenne probabilmente quando il banjo passò ad essere uno strumento solista non più legato, quindi, ad una funzione di prevalente accompagnamento e alle esigenze della voce del cantante. Questo avviene, come abbiamo detto, nell’epoca del Classic Banjo (grossomodo 1850-1910) e si può dire che tale accordatura, che si rivelò perfetta anche per l’esecuzione del ragtime e del repertorio salottiero degli interpreti di questo stile, divenne l’accordatura standard a partire grossomodo dagli anni ’80 dell’Ottocento.
Questa resterà l’accordatura principale anche negli anni successivi fino a quando, con l’avvento del bluegrass, non si imporrà, perlomeno per questo stile musicale, l’accordatura gDGBD, vale a dire la stessa accordatura con la quarta corda alzata di un tono (la cosiddetta G tuning, perché realizza con le corde a vuoto l’accordo di Sol). Lo stesso Pete Seeger consiglia nella prima edizione del suo famoso manuale How to Play the 5-String Banjo di adottare come punto di partenza l’accordatura tradizionale gCGBD, anche se nella revisione del 1990 precisa che – se dovesse scrivere in quel momento il manuale – partirebbe dall’accordatura bluegrass.

Sean Moyses
Sean Moyses

Per quanto riguarda il plectrum banjo, l’accordatura tipica adottata ancora oggi da quasi tutti gli specialisti di questo strumento è la classica CGBD derivante dal banjo a 5 corde, anche se vi sono virtuosi come Ken Harvey e Sean Moyses che hanno preferito alzare di un tono la quarta corda e suonare in DGBD (praticamente la stessa accordatura usata per il banjo bluegrass). Alzando anche la prima corda di un tono si ottiene poi la cosiddetta accordatura Chicago, che è identica a quella delle prime quattro corde della chitarra; si tratta, come è facilmente intuibile, di un espediente molto usato da chi passa dalla chitarra al banjo, in quanto consente di utilizzare le stesse diteggiature chitarristiche senza doverne apprendere di nuove. Tutte queste accordature sono perfette sia per l’accompagnamento che per il chord melody style, consentendo accordi (i cosiddetti voicings) a parti strette e una condotta delle parti (voice leading) ideale per l’armonia a tre voci e la scrittura a quattro parti. Gli intervalli diversi tra ciascuna coppia di corde rende però più difficoltoso (specie con l’accordatura plectrum) suonare le linee melodiche. Difficilmente però il plectrum viene accordato per quinte come il banjo tenore, in quanto in uno strumento con la scala così lunga (solitamente 26,75”) la diteggiatura tipica degli strumenti accordati per quinte non è agevole a meno di non avere delle mani enormi.
Il tenor banjo, dal canto suo, conosce una maggiore varietà di accordature. L’accordatura standard per quinte CGDA è quella ‘nativa’ ed è ideale per suonare le veloci linee melodiche a una sola voce (quelle che gli americani chiamano linee single note); la diteggiatura è la stessa della viola e la scala corta consente un adattamento quasi immediato. Essendo l’accordatura del tenore un’accordatura uniforme (o simmetrica) in cui la distanza in termini di intervalli tra corde adiacenti è sempre la stessa, la diteggiatura da impiegare si ripete in maniera identica indipendentemente dal tasto o dalla corda di partenza: ciò consente di poter apprendere poche diteggiature per poter suonare sin da subito lo strumento.
Nel jazz tradizionale (New Orleans e Dixieland) il banjo tenore ha un suo posto d’onore grazie al suono brillante e, come strumento di accompagnamento, è più diffuso del plectrum (prediletto invece dai solisti). L’accordatura CGDA, infatti, assicura al banjo tenore un timbro decisamente più brillante rispetto al plectrum. Questo è dovuto al fatto che sia il plectrum che il tenore hanno la quarta e la terza corda intonate rispettivamente in Do3 e Sol3, ma il tenore ha la seconda corda intonata in Re4 e la prima corda in La4, mentre il plectrum ha la seconda corda in Si3 e la prima in Re4. In pratica la prima corda del plectrum corrisponde alla seconda del tenore.
Tuttavia l’accordatura per quinte del banjo tenore non è così comoda per gli accordi quanto quella del plectrum: nei cambi di accordo richiede a volte dei salti, e i voicing realizzabili sono a parti larghe (in una accordatura per quinte le posizioni delle note sono più distanti tra di loro) il che rende il suono finale molto simile a quello di un mandolino (che è accordato anch’esso per quinte). Molti banjoisti, pertanto, non volendo rinunciare alla comodità della scala corta, adottano sul tenore l’accordatura del plectrum, cosa piuttosto agevole da fare, essendo sufficiente spostare la seconda corda del banjo tenore al posto della prima e rimpiazzare la seconda con una corda acquistata separatamente di calibro intermedio, accordata in Si. Il risultato è un banjo tenore accordato a plectrum che, in virtù della scala più corta, avrà un suono leggermente più schioccante e penetrante del plectrum. Il lato negativo è che si perde in estensione verso l’alto, in quanto la nota più alta ottenibile al XIX tasto di un banjo tenore accordato a plectrum è un La, mentre con l’accordatura per quinte si avrebbe un Mi.
Per ovviare a questa perdita di note alte che incide anche sulla brillantezza dello strumento, alcuni virtuosi come John Reynolds hanno adottato l’accordatura plectrum ma, anziché tener fermo il Do della quarta corda, tengono fermo il La della prima corda del tenore: in pratica l’accordatura diventa GDF#A, un’accordatura plectrum alzata di una quinta, che assicura la brillantezza dell’accordatura del tenore unitamente alla comodità e all’armonia a parti strette dell’accordatura del plectrum. La perdita delle note basse non sembra turbare i banjoisti, che sono più preoccupati di avere brillantezza e di farsi sentire in mezzo ad un ensemble di ottoni.
Sul banjo tenore è anche possibile adottare l’accordatura Chicago, cosa che effettivamente alcuni (come Lino Patruno) fanno. Personalmente non prediligo questa scelta in quanto, su uno strumento con i tasti così ravvicinati come il banjo tenore, le posizioni chitarristiche a parti strette rischiano, specie per chi ha una mano grande, di essere scomode per le dita. L’accordatura chitarristica, inoltre, impone spesso di eseguire i barré, che su un manico stretto come quello del banjo possono essere a loro volta scomodi.
Nella musica irlandese il banjo tenore ha subìto un avvicinamento ancora più accentuato al violino. Il cosiddetto Irish banjo è un banjo tenore a 17 tasti con scala ancora più corta del tenore standard (solitamente 19 3/4” contro 22 5/8”). L’accordatura viene abbassata di una quarta per renderla come quella del violino, cioè GDAE ma un’ottava sotto. Questo consente al banjoista di raddoppiare la linea melodica suonata dal fiddle un’ottava più in basso, ottenendo così l’effetto tipico di quella musica, che unisce il suono legato e morbido del violino a quello staccato e schioccante del banjo. L’introduzione di questa accordatura pare sia dovuta a Barney McKenna, mitico banjoista dei amoxicillin Dubliners. Va detto però che non mancano banjoisti irlandesi che impiegano l’accordatura standard CGDA e/o il tenore standard a 19 tasti.

Le corde

Un minstrel banjo di costruzione moderna
Un minstrel banjo di costruzione moderna

Un’attenzione particolare va posta nella scelta delle corde, specie nel momento in cui si cambia accordatura. In commercio esistono scalature per banjo a 5 corde, per banjo tenore e Irish banjo. Si trovano anche set di corde per il plectrum ma in realtà, visto che l’accordatura è la stessa del banjo a 5 corde, si possono benissimo utilizzare anche per il plectrum i set per il banjo a 5 corde, con il vantaggio che la quinta corda (che solitamente ha lo stesso diametro della prima) fungerà da comodo ricambio per i (non infrequenti) casi di rottura della prima. Gli stessi set sono anche perfetti per una eventuale accordatura Chicago, visto che la prima e la quarta corda possono essere alzate di un tono senza grossi problemi. Un set non troppo impegnativo per questo genere di banjo potrà partire da una prima corda .010 (ricordiamoci che con un diapason di 26,75” le corde avranno una tensione maggiore e quindi un’action meno morbida rispetto alla chitarra accordata con pari scalatura).
Più attenzione deve essere posta per il banjo tenore. Il set standard è pensato per corde intonate a una quinta di distanza l’una dall’altra e, conseguentemente, una muta che preveda ad esempio .009, .013, .022, 0.28 non potrà essere utilizzata per passare all’accordatura plectrum o alla Chicago. In entrambi questi casi sarà sufficiente, come detto, togliere la prima corda e mettere la seconda al posto della prima, rimpiazzando la seconda con una .016 o una .018 comprata separatamente. Una .013 come prima corda accordata in Mi o in Re può sembrare pesante a un chitarrista, ma ricordate che il banjo tenore ha una scala molto più corta della chitarra e quindi una tensione delle corde inferiore.
Per l’Irish banjo, invece, occorrerà necessariamente utilizzare i set pensati per la particolare accordatura bassa di questo strumento, che partono generalmente da una prima corda .012 o .013.
Solo un cenno merita il banjo a 6 corde (banjo guitar o banjtar) che è accordato esattamente come una chitarra e ha i suoi set di corde. In ogni caso anche corde per chitarra acustica andranno bene.

Quale banjo scegliere

Chiudiamo questo articolo breve, ma speriamo abbastanza esauriente, con un primo suggerimento per chi voglia comprare un banjo e voglia orientarsi tra le molteplici scelte possibili.
Se suonate bluegrass, la vostra scelta cadrà principalmente su un banjo a 5 corde, meglio se con risonatore.
Qualora voleste cimentarvi con il Classic Banjo dovrete prendere un modello senza risonatore con le corde di budello (i produttori costruiscono appositi modelli).
Se amate il Dixieland, scegliete un banjo tenore a 19 tasti o un plectrum. Se invece volete accostarvi alla musica irlandese l’Irish banjo a 17 tasti fa per voi.
In commercio si trovano strumenti di buona qualità a prezzi davvero molto bassi, ma il consiglio è di non prendere subito lo strumento più economico. Un buon banjo deve avere almeno il rim in legno e un tone ring. I banjo di fascia bassa hanno, tra l’altro, meccaniche davvero economiche e imprecise, da evitare. Tradizionalmente i banjo di qualità montano i cosiddetti planetary tuners, che sono più comodi per la loro posizione e hanno un rapporto 4:1, quindi consentono un’accordatura (e un passaggio da un’accordatura ad un’altra) molto veloce. Le meccaniche guitar style sono invece più precise, avendo un rapporto 14:1, ma per cambiare accordatura si impiega ovviamente molto più tempo.
Buon divertimento!

Domenico Lobuono

PUBBLICATO
Chitarra Acustica, 10/2014, pp. 55-58

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